Le riflessioni di Alessandro da: http://www.ilbelloallavana.com/
martedì 23 giugno 2015
Al mio vicino di casa piace molto il reggaeton. Non me l'ha
mai confessato personalmente perchè io ho imparato la lezione di non
socializzare per nessuna ragione, neanche in punto di morte, con dei vicini, ma
lo deduco dal fatto che da circa una settimana lo mette. Non lo mette così, di
passaggio. Lo mette sempre. A palla. È la colonna sonora della sua vita, della
mia e di un'altra dozzina di persone che hanno la sciagura di avere una
famiglia allegra nel vicinato. Io mi sento fortunato. Vivo a Playa e la mia
casa confina con questa gente e per il resto con banche. In altri quartieri la
colonna sonora si moltiplica per quanti sono i vicini. Ogni vicino ha bisogno
di una colonna sonora per rendere meraviglioso, sensuale, trionfante, il tempo
di cottura dei fagioli o il nulla.
Capisco questo solo in parte. Lo considero un effetto
collaterale del vivere qui. In realtà, pensandoci bene, il vero problema non è
la musica in sè ma il genere. Quando vivevo a Vedado avevo un vicino solitario
e solo, che in certi fine settimana metteva dei boleri strazianti e li cantava
ubriaco. Mi piaceva. Era nata una certa intimità tra noi. Lui cantava e il
giorno dopo ci salutavamo con stima fuori dalla porta. Lui aveva le occhiaie ed
era triste ed io avrei voluto abbracciarlo. C'era una disperazione senza fondo
in quel rituale. Non cercava di essere intonato ma gridava a chissà chi una
sconfitta, un dolore che non sapeva portarsi dentro. Il reggaeton è
sostanzialmente merda. Sentirlo nelle orecchie è una specie di violenza alle
proprie emozioni, ai propri sentimenti, alla vita. Un po' come quando ami e sei
costretto a modulare questa incredibile e misteriosa emozione che ti attraversa
sui percorsi immaginati da Gigi D'Alessio o dai Ricchi e Poveri. Anche l'amore
diventa brutto, banale, stupido, il sesso, qualcosa di lurido, un atto veloce e
sudato di un mezzo camorrista o di tre poveracci. Quattro se aggiungiamo
l'aggravante di Marina Occhiena, che credo sia morta oramai. Detto questo, il
reggaeton ha una sua variante gettonatissima che mi fa pensare alla morte più
buia: le vocette modificate elettronicamente. Ti ricordi quell'effettaccio che
Cher usò per la prima volta nella canzone "Live after love" (mi sa
che si chiamava così)? Bene qui sembrano averlo scoperto da poco e ne abusano a
tal punto che ci sono cantanti di cui non si conosce la voce reale. Dico sul
serio. Nella vita reale potrebbero avere anche la voce di Aldo Giuffrè ma
nessuno lo sa. Sembrano idioti fulminati in un microonde. Che cantano. Il
reggaeton in generale dovrebbe essere proibito per legge. Non dà una bella
immagine di Cuba. Mi dispiace dirlo ma è così. I vari idoli del genere
dovrebbero essere impiegati secondo le loro naturali inclinazioni: autisti
d'autobus, buttafuori, monnezzari, lenoni, raccoglitori di lattine. Non è solo
un problema di volgarità, che già basterebbe, ma il fatto che questi ceffi
scavano e sguazzano in tutto ciò che la rivoluzione ha cercato di estirpare in
decenni di lavoro: idiozia, materialismo, machismo, bullismo, pregiudizio e di
nuovo idiozia. Capisco che è un fenomeno ad uso quasi esclusivo delle classi
più basse e incolte del paese ma capisco anche che somministrarglielo senza
controllo mantiene quelle classi basse e senza futuro. Senza contare che poco a
poco questo tipo di musica sta modificando il gusto di tutti gli altri. Quando
iniziò ad andare in onda Drive In in Italia nessuno pensò che avrebbe guastato
il gusto e la comicità di tutti. E ora ci troviamo a considerare Crozza uno
bravo che fa ridere.
A Cuba si ballava anche prima del reggaeton. C'erano la
salsa, il merengue, la rumba, il mambo, il danzon. C'erano cantanti e gruppi
che conoscevano il senso del pentagramma, musicisti, gente che aveva per le
mani strumenti reali e li sapeva usare. Oggi questi quattro poveracci mettono
una base elettronica, dicono due coattate piene di minacce verso qualche
parigrado e fanno musica. Anche prima si era tristi, a volte disperati e soli,
ma voglio pensare che avesse più profondità, più poesia forse, accompagnare le
passeggiate nei propri baratri personali con una musica che non ti rubava
l'anima. E neanche quella del vicino che cerca di scrivere, santo dio.