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lunedì 24 marzo 2014

Venezuela, funzionari di Cuba a capo dei gruppi paramilitari

Da lettera 43
Comandano i collettivi armati. Controllano i flussi migratori. Gestiscono Internet. Il ruolo degli uomini de L'Avana.
di Pablo Marzi





Karina è una studentessa. Da oltre un mese, ogni giorno, scende in piazza per fare sentire la propria voce.
«Il Venezuela ha perso la sua sovranità», denuncia, «e le Forze Armate Nazionali Bolivariane (Fanb) hanno venduto la patria di Bolívar a un colombiano che ci ha consegnati a un paese in miseria come Cuba».
Il «colombiano» in questione è il presidente Nicolás Maduro che l’opposizione accusa di essere nato a Cúcuta e non a Caracas.
L'obiettivo di Karina è uno: fare cadere il suo governo. Certo, anche chiedere la fine della repressione in Venezuela, dire no alla censura di giornali e tivù, opporsi alla tessera di razionamento per fare la spesa e chiedere la liberazione dei tanti studenti arrestati.
LO ZAMPINO DEI FRATELLI CASTRO. Dopo 37 giorni di proteste e morti (31 il bilancio a oggi), oltre 500 feriti e più di 1.500 arresti tra cui molti dei leader e sindaci dell’opposizione, ormai le parole «pace» e «dialogo» sembrano essere state definitivamente archiviate. Sia da parte del governo che definisce «terroristi», «fascisti» e «golpisti» chi protesta, sia da parte di chi continua a scendere in piazza e a erigere guarimbas, barricate, nonostante una repressione sempre più selettiva e organizzata.
Per Karina non ci sono dubbi che a coordinare le azioni dei gruppi militari chavisti - oltre alle Ffaa bolivariane sono coinvolte anche le Guardie del Popolo – e dei paramilitari in motocicletta, i cosiddetti collettivi armati, ci sia lo zampino dei cubani.
IN MARCIA AL GRIDO DI «FUORI CUBA». Sarebbero loro i veri responsabili di gran parte delle violenze e di gran parte dei 31 morti. «Chi sparava ad alzo zero gas lacrimogeni contro di noi era un cubano, l’ho riconosciuto bene dall’accento con cui dava ordini», ha confermato aLettera43.it un italo-venezuelano che da anni vive a Caracas. Ma Karina e il nostro connazionale non sono gli unici a essere sicuri che dietro alla repressione ci siano i fratelli Castro.
L’ultima marcia organizzata dall’opposizione, domenica 16 marzo, è stata indetta «contro la cubanizzazione delle Fanb» e aveva come slogan principale un inequivocabile «Fuori Cuba!».
«Patria, socialismo o morte» avevano invece gridato il giorno prima soldati e soldatesse dell’esercito del Venezuela chiamati a marciare da Maduro. Uno slogan coniato proprio da Fidel Castro e che dal 2007 è obbligatorio per chiunque faccia il servizio militare a Caracas. Ma slogan a parte, che i servizi segreti cubani del G2 siano un tutt’uno con il regime chavista non è una novità.
Petrolio in cambio di medici: il baratto Caracas-L'Avana


Jesús Peralta è un medico cubano di 30 anni e il martedì 5 gennaio del 2010 se lo ricorda ancora oggi: quel giorno, ha raccontato lui stesso, «sono riuscito a fare la ‘grande fuga’ dal socialismo con altri sei amici». Peralta e i suoi compagni d’avventura, tutti medici cubani che oggi vivono negli Stati Uniti, non sono però arrivati a Miami dall’aeroporto de L'Avana, ma dal Simón Bolívar di Caracas.
Da un decennio, in cambio di 110 mila barili di petrolio al giorno il Venezuela può contare su almeno 20 mila medici cubani che, ça va sans dire, non percepiscono uno stipendio vero, solo briciole. In molti se ne sono andati e, tra questi, Peralta e i suoi colleghi. «Per riuscire a prendere l’aereo per Miami abbiamo corrotto un buon numero di controllori della dogana, tutti funzionari dell’ambasciata cubana a Caracas, la cui unica preoccupazione era sapere se avevamo dollari sufficienti per corromperli». Jesùs e i suoi colleghi pagarono 5.200 dollari. Una vicenda, la loro, che dimostra come, già all’inizio del 2010, fossero agenti dell’intelligence castrista a controllare i flussi migratori del principale aeroporto venezuelano.
L'EX MINISTRO DI FIDEL ORA A CARACAS. Storia vecchia insomma, solo che adesso, oltre ai controlli dei confini ci sono le proteste. Per il Miami Herald, dietro la repressione c'è la direzione dell’intelligence dei fratelli Castro. La cosa non deve sorprendere perché già nel febbraio del 2010 il settimanale britannico The Economist aveva coniato il termine «Venecuba» per sottolineare l’unione de facto, soprattutto nei settori più sensibili, tra i due stati.
Emblema di questa ingerenza è lo storico «comandante rivoluzionario» Ramiro Valdés, primo ministro dell'Interno di Fidel dopo la revolución nonché fondatore del G2, che con la scusa della “consulenza energetica” di cui non ha alcuna esperienza passa da almeno quattro anni parte del suo tempo in quel di Caracas con un preciso compito: gestire la rete Internet venezuelana (settore di cui in effetti si occupa anche a L’Avana) e dirigere i più alti vertici militari del Paese nelle strategie di controllo delle proteste.
FUNZIONARI CUBANI A CAPO DEI COLLETTIVI ARMATI. Secondo fonti raccolte dal Miami Herald, sono una ventina gli ufficiali e funzionari cubani di alto rango che guidano addirittura dal palazzo presidenziale di Miraflores le operazioni paramilitari dei circa 1.000 uomini che compongono i 90 collettivi armati di cui dispone Maduro.
Secondo altre fonti raccolte da Lettera43.it, la centrale d’ascolto del G2 cubano occuperebbe invece l’intero nono piano dell’ex hotel Hilton che dal 2007, quando fu acquistato dal governo, si chiama Alba. Acronimo che sta a indicare l'alleanza bolivariana delle Americhe, ideata da Fidel Castro e Hugo Chávez.
Domenica, 23 Marzo 2014


giovedì 20 marzo 2014

Fuori Cuba dal Venezuela



17 Marzo 2014
  


Nelle foto si vedono striscioni molto indicativi della situazione venezuelana. Simili stendardi sono stati esibiti da gruppi di manifestati per le strade di Caracas durante il fine settimana. I venezuelani non ne possono più dell'ingerenza cubana, soprattutto non hanno intenzione di continuare a mantenere con il loro petrolio un alleato ideologico. Maduro parla di tessera del razionamento dei beni di prima necessità e di nazionalizzazioni selvagge, mentre la piazza insorge. Raúl Castro pare stia compiendo preparativi militari per accorrere in difesa dell'amico, mentre c'è chi denuncia la presenza di infiltrati cubani nella polizia politica. La situazione è esplosiva.



La morte di Huber Matos

Gordiano Lupi. 


28 Febbraio 2014
  
Era un uomo speciale Huber Matos. In tutti sensi. Eravamo nel 1958, lui faceva il maestro di scuola e coltivava riso a Manzanillo, dalle parti della Sierra Maestra, Oriente cubano. Fu tra i primi oppositori al regime di Fulgencio Batista, si unì a Fidel e all'Esercito Ribelle, conquistò sul campo il grado di Comandante e contribuì al trionfo della Rivoluzione. Cadde presto in disgrazia, però, perché in disaccordo con la deriva comunista del processo rivoluzionario. Fu accusato nel 1959 di alto tradimento e dovette scontare 20 anni di reclusione in patria. Esiliato a Miami, fondò il movimento Cuba Indipendente e Democratica, per diffondere nel mondo la sua visione democratica e il tradimento degli ideali rivoluzionari. A Cuba oggi nessuno lo ricorderà, anche se pure lui ha contribuito alla causa ed è stato tra i coraggiosi che scacciarono Batista. Ha avuto il torto di non essere comunista, se così si può dire, ma ha avuto il coraggio di mettere nero su bianco tutti i suoi dubbi, pagando con la galera le sue convinzioni democratiche.
Muore a 95 anni, per un attacco cardiaco, lucido e intelligente come sempre, a differenza del rivale Fidel che gli sopravvive come l'ombra di se stesso. Verrà sepolto in Costarica, secondo le sue volontà, in attesa che la sua terra sia libera e possa di nuovo accoglierlo. Il Costarica è un paese importante nel passato del Comandante, perché fu il suo rifugio dalle truppe di Batista che lo braccavano. Huber Matos, il mitico Comandante della Colonna 9 “Antonio Guiteras”, entrò all'Avana a fianco di Fidel e di Camilo Cienfuegos. Avevano posizioni democratiche molto simili, Huber e Camilo, il primo fu arrestato per tradimento, il secondo scomparve in un misterioso incidente aereo. Huber Matos è sempre stato convinto che Camilo venne ucciso, così come la sua detenzione fu una conseguenza della svolta autoritaria castrista. Riposa in Pace Comandante Huber. La storia ti assolverà

Cuba: Yoani fonda un periodico digitale



Yoani Sánchez è stata ospite la scorsa settimana di “Hay Festival”, a Cartagena in Colombia, ed è lì che ha annunciato: «Nel primo semestre del 2014 lancerò un nuovo progetto: un periodico digitale indipendente». In pratica, passerà da un progetto individuale come il blog a un progetto giornalistico collettivo, pensato «per accompagnare la società cubana nella transizione verso la democrazia». Un progetto benemerito, senza dubbio, persino coraggioso, sicuramente unico nel panorama insulare, visto che i giornali on line di argomento cubano sono tutti realizzati all'estero.
Non abbiamo ancora capito se questa scelta comporterà la chiusura di Generacion Y, il blog che ha dato fama mondiale a Yoani. «Non fonderò un giornale anticastrista, ma un media che racconti la realtà e dia spazio a tutte le opinioni», ha detto la blogger. Yoani ha aggiunto che teme repressioni e rappresaglie contro questa novità editoriale, ma che a suo parere - pur tra mille difficoltà - è giunto il momento di tentare. «Voglio piantare un seme di stampa libera e approfittare dei cambiamenti in atto a Cuba per renderli sempre più efficaci», ha concluso.

La pubblicazione crescerà nell'illegalità, perché a Cuba sono vietate riviste e periodici che non siano emanazione diretta dello Stato, sarà digitale per motivi pratici, vista l'impossibilità – anche economica – di stampare e distribuire un media cartaceo. Purtroppo, il fatto di essere digitale sarà anche il limite più evidente di un progetto, che sembra pensato soprattutto per i cubani che vivono all'estero. Cuba non è l'Europa. La popolazione residente ha un indice di connessione tra i più bassi del mondo e soltanto pochi privilegiati dispongono di Internet casalinga. Per avere un'idea di massima dobbiamo pensare all'Italia verso la fine degli anni Novanta del secolo scorso. Pure peggio, visti i limiti politici e i filtri ideologici imposti dal governo. Un periodico digitale rischia di non avere alcuna incidenza politico-culturale sullo sviluppo della società cubana.

Perché non voglio far parte della Federazione





YOANI SANCHEZ
Il congresso della Federazione delle Donne Cubane (FMC) è terminato alcuni giorni fa. Nel corso della cerimonia di chiusura, un uomo ha pronunciato le parole finali. Ma questo non è stato l’unico, né l’ultimo, errore di un’organizzazione obsoleta caratterizzata dall’ideologia. 
Dopo aver ascoltato le riunioni nel Palazzo delle Convenzioni, confermo di non voler far parte della Federazione. Perché? 

Di seguito le mie ragioni:

- Rifiuto la considerazione da “presidentessa eterna” di cui viene fatta oggetto la figura di Vilma Espín, perché questo sfoggio d’immortalità in un incarico mi sembra - quanto meno - ridicolo. 

- Non voglio far parte di un’organizzazione che nella sua bandiera mostra un individuo in uniforme. Visto che non sono un soldato, non mi sento rappresentata da una donna armata di fucile. 

- Non credo a un’organizzazione femminile che ha come principio la fedeltà a un’ideologia, a un partito e a un uomo. 

- Sospetto che una parte dei 4 milioni di donne che compongono la FMC, sia entrata a farne parte per mero automatismo, come un atto obbligato al compimento dei quattordici anni. 

- Non confido in una federazione fondata sulla mancanza di libertà che impedisce ai cubani di creare altre organizzazioni. 

- Non comprendo il modo di ragionare della FMC, che stigmatizza la violenza contro le donne ma non ha mai condannato gli atti di ripudio di cui sono vittime le Damas de Blanco. 

- Sottolineo l’inefficienza di un’entità fondata da 50 anni, che non è ancora riuscita a fare in modo che le femmine possano raggiungere quei posti di potere dai quali si prendono le vere decisioni che danneggiano il paese. 

- Sono stanca di veder ridurre le donne - in questi congressi femminili - a soggetti preoccupati per un modulo da riempire su pentole e tegami, femmine disposte a consegnare i loro figli come carne da cannone o parti dell’ingranaggio produttivo… pronte al sacrificio, belle e obbedienti. 

- Sono una donna del XXI secolo, non ostento il mio sesso con vittimismo ma con orgoglio e non posso far parte di un’organizzazione che è un polo di trasmissione del potere verso le femmine. 

- Quando sarà legale associarsi per convinzioni, affinità, generi e tanti altri punti di contatto, allora sì che entrerò a far parte con la mia sessualità e le mie domande di una vera federazione femminile. 


Traduzione di Gordiano Lupi 

Svalutazione





YOANI SANCHEZ
Per una cellula è difficile mantenersi sana in un organismo malato. In una società inefficiente, una bolla di funzionalità finirebbe per esplodere. Allo stesso modo, non si possono potenziare certi valori etici - selezionati e filtrati - in piena debacle di integrità morale. Riscattare codici di comportamento sociale, implica accettare anche quelli non in sintonia con l’ideologia imperante. 

Adesso i media ufficiali ci invitano a recuperare i valori perduti. Secondo la versione dei commentatori televisivi, i principali responsabili del deterioramento morale sarebbero la famiglia e la scuola… mentre il governo resterebbe immune da colpe. Parlano di cattiva educazione, scortesia, mancanza di solidarietà e aumento di cattive abitudini come furto, menzogna e indolenza. In un paese dove per mezzo secolo il sistema educativo, la stampa, i mezzi di produzione e distribuzione culturale, sono stati monopolio di un partito unico, vale la pena chiedersi: che cosa ha prodotto tale impoverimento? 

Ricordo che quando ero bambina nessuno osava rivolgersi a un interlocutore con l’appellativo “signore”, perché era considerato un retaggio borghese. Siccome il termine “compagno” era associato a una posizione ideologica, molti cubani cominciarono a chiamarsi con nuove forme: “cugino”, “giovanotto”, “ascolta tu”, “sigaro”… un elenco interminabile di epiteti che derivavano da formule volgari. Adesso in TV si lamentano che ci rivolgiamo al prossimo in maniera scurrile, ma… chi ha provocato tale deterioramento? 

Il sistema cubano scommise sull’ingegneria sociale e giocò con l’alchimia individuale e collettiva. L’esempio più eclatante di quel fallimentare laboratorio fu il cosiddetto “uomo nuovo”. Un Homus Cubanis che sarebbe cresciuto senza problemi tra sacrificio, obbedienza e fedeltà. L’uniformità era incompatibile con le caratteristiche etiche di ogni famiglia. Quindi per ottenerla, fecero in modo - quando poterono - di allontanare milioni di cubani dall’ambiente familiare. 

Andavamo al circolo infantile dopo appena 45 giorni dalla nascita, gli accampamenti dei piccoli pionieri ci ricevevano dopo aver imparato le prime lettere, partivamo per le scuole di campagna appena finita l’infanzia e passavamo la nostra adolescenza in un liceo costruito in mezzo al niente. Lo Stato credeva di poter sostituire il ruolo educativo dei nostri genitori e pensava di poter cambiare i valori familiari con un nuovo codice morale comunista. Ma la creatura costruita risultò lontana dal progetto. Non riuscimmo a trasformarci neppure in un “uomo buono”. 

Si accanirono anche contro la religione, senza considerare che nelle diverse credenze vengono trasmessi alcuni valori etici e morali che hanno formato la civilizzazione umana e i nostri costumi nazionali. Ci fecero denigrare i diversi, insultare con frasi oscene i presidenti degli altri paesi, irridere figure storiche del passato, mostrare la lingua e fare pernacchie quando passavamo davanti a un’ambasciata straniera. Ci inculcarono la “promiscuità rivoluzionaria” che loro stessi avevano praticato sulla Sierra Maestra e ci incitarono a sbeffeggiare chi parlava bene, aveva una vasta cultura e si esprimeva in maniera raffinata. Quest’ultimo insegnamento fu così intenso che molti cubani fingevano di parlare volgarmente, omettevano di pronunciare alcune sillabe e nascondevano le loro letture, perché nessuno si rendesse conto che erano “dei soggetti strani”, potenzialmente dei “controrivoluzionari”. 

Abbiamo sentito un uomo gridare da un palco per cinquant’anni. Le sue diatribe, il suo odio, la sua incapacità di ascoltare con calma un argomento contrario, sono state le pose esemplari che abbiamo imparato a scuola. Lui è stato l’esempio di chi si esprime gridando, sempre esasperato, il dito indice autoritario puntato verso gli altri. Lui - che credeva di sapere tutto mentre in realtà sapeva poche cose - ci ha trasmesso la superbia, l’abitudine di non chiedere mai scusa e la menzogna, tipico inganno dei furfanti e dei truffatori, che gli riusciva così bene. 

Adesso, che il quadro etico della nazione sembra uno specchio in frantumi caduto al suolo, chiedono alla famiglia di ripararlo. Ci invitano a costruire valori nelle nostre case e a trasmettere ordine e disciplina ai nostri figli. Ma come possiamo farlo? Noi stessi siamo stati plasmati nella mancanza di rispetto di certi codici. Non siamo in grado di cambiare le cose, perché non c’è mai stato un processo di autocritica da parte del potere, chi ha giocato all’ingegneria sociale con le nostre vite non ha mai riconosciuto gli errori commessi. 
I codici etici non si ricostruiscono tanto facilmente. Una moralità svalutata dal comportamento pubblico, non può essere ricomposta dalla sera alla mattina. E adesso come metteremo a posto tutto questo disastro? 


Traduzione di Gordiano Lupi