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giovedì 30 gennaio 2014

Zelo e CELAC





YOANI SANCHEZ
Ieri mi ha chiamato un amico. Era nervoso. Nei dintorni di casa sua la polizia stava facendo una scrupolosa “pulizia”. Aveva ragione di essere così alterato, perché questo pensionato senza pensione vive grazie a un’antenna parabolica illegale con la quale somministra servizi televisivi a diverse famiglie. Per questo quando le forze dell’ordine diventano più severe, il mio amico deve tagliare i cavi, nascondere la parabola e rinunciare a incassare le quote per i giorni in cui sospende il servizio. Per lui si tratta di un vero disastro economico. Ogni volta che sente parlare della celebrazione di un vertice internazionale, di un incontro con ospiti stranieri o di qualche visita di governanti di un altro paese, comincia a temere per la sua attività. Sa che a ognuno di quegli eventi corrisponde una retata di polizia caratterizzata da zelo e intransigenza. 


Quando Benedetto XVI fece visita a Cuba, centinaia di mendicanti, prostitute e dissidenti furono “tolti di circolazione”. L’impresa telefonica Cubacel fece la sua parte sospendendo il servizio in tutto il paese a circa cinquecento abbonati. Adesso è in arrivo il secondo Vertice della Comunità degli Stati Latinoamericani e Caraibici (CELAC) che si celebrerà alla fine di gennaio all’Avana. Si vedono già camion pieni di vasi, con piante che verranno annaffiate per appena due settimane e che saranno disposte nelle strade principali. In alcune zone del centro si alzano impalcature con imbianchini che colorano pareti screpolate e annerite. Ritoccano anche la segnaletica stradale lungo il percorso che faranno gli ospiti e vengono sostituiti persino i vecchi cartelloni scalcinati. 


Hanno detto a quella parte di Avana clandestina e ufficialmente “impresentabile” di starsene quieta, molto quieta. I mendicanti se ne staranno rinchiusi fino a quando non sarà finito il Vertice, i prosseneti sanno che devono tenere sotto controllo ragazze e ragazzi, mentre membri della polizia politica perquisiscono le case degli oppositori. Pure il mercato illegale è bloccato. “Tranquilli, tranquilli”, ripetono i poliziotti in tono minaccioso, senza mai mettere per scritto i loro avvertimenti. Per questo il mio amico ha cominciato questa mattina a scollegare la sua attrezzatura, poi mi ha chiamato di nuovo per dire che nei giorni 28 e 29 gennaio non pensa di mettere piede in strada. “Sicuro! Non ho nessuna voglia di dormire in una cella!” mi ha detto, prima di riattaccare il telefono e di mettere al sicuro l’antenna. 


Traduzione di Gordiano Lupi  

Giornata di chiusura del vertice CELAC


(CELAC – Comunità di stati Latino americani e del Caribe)

Anticipata da una cosiddetta “operacion Limpieza che ha portato a momentanei fermi di vari attivisti dissidenti sia in Avana che nelle provincie, la conferenza dei paesi membri si avvia al termine)

Da: ilvecchioeilmare.blogspot

Oggi seconda riunione dei presidenti degli Stati aderenti alla CELAC (Comunidad de Estados Latinoamericanos y del Caribe). Un consesso al quale partecipano, tutti, i Paesi interessati (33) e da cui Cuba ha ricavato un grande successo politico e di prestigio. Assenti, naturalmente, solo i "territori d'oltremare" inglesi, francesi, olandesi e statunitensi dell'area caraibica. Nell'occasione, il presidente Raúl Castro ha accompagnato la presidentessa del Brasile, Dilma Roussef e la delegazione che l'accompagna, a visitare l'area di sviluppo del Mariel dove è stato inaugurato il molo principale del porto. Dopo le riunioni preliminari dei coordinatori di ogni Paese in cui si sono elaborati i documenti da presentare ai rispettivi ministri degli Esteri, questi hanno a loro volta inoltrato il risultato dei lavori ai propri presidenti che si sono riuniti nei giorni di ieri e oggi per le conclusioni.

Fra i discorsi di ieri, alcuni inevitabilmente infarciti di diplomazia, retorica e magari demagogia, ha fatto spicco (secondo me) quello della presidentessa Argentina, Cristina Fernández. Un discorso ben equilibrato tra le componenti politiche, diplomatiche, pragmatiche e anche...sentimentali. La signora Fernández ha dato due suggerimenti: il primo di eliminare il più possibile la burocrazie nei rapporti all'interno della CELAC, magari istituendo in ogni Stato un organismo che mantenga i rapporti all'interno dell'organizzazione senza dover dipendere da interventi di altri settori delle amministrazioni. Questo, anche se può sembrare un controsenso, secondo le intenzioni della presidentessa, snellirebbe molto i lavori. Il secondo suggerimento è di cercare in ogni modo di dare impulso alle industrie della regione per fare in modo che le enormi ricchezze in materia prima esistenti in Sud America (specialmente) e nei Caraibi o Messico, acquisiscano un valore aggiunto che oggi non hanno e che va a beneficio dei Paesi industrializzati che le sfruttano a costi irrisori. Così facendo, diceva la s.ra Fernández si creerebbero anche nuovi posti di lavoro, specialmente per le fasce d'eta comprese tra i 18 e 24 anni, in particolare per le donne.

Oggi il secondo intervento dei presidenti che non hanno parlato ieri e la chiusura col passaggio della presidenza, pro-tempore, dell'Organizzazione al Costa Rica.

Cuba, quale democrazia? Intervista ad Arnold August -





Giornalista Canadese sudioso dell'america latina e Cuba

Lo scrittore Philip K. Dick diceva che «uno Stato non è migliore di chi lo guida», ma parafrasandolo si potrebbe anche sostenere che non è migliore nemmeno di chi ci abita. Se, infatti la crisi ha creato un divario apparentemente incolmabile tra governanti e governati, eletti ed elettori, la colpa non può essere addossata solo ai primi. Forse, oltre a ciò che mangiamosiamo anche ciò che votiamo. Ma mentre in tanti sostengono che il vuoto democratico scaturisce da una colpevole rinuncia da parte del popolo a svolgere il ruolo sovrano che la Costituzione gli garantisce, c’è chi si spinge oltre, fino a mettere in dubbio la validità stessa del sistema di democrazia rappresentativa. Per costoro, è la stessa struttura istituzionale in vigore Paesi occidentali che impedisce ai cittadini di partecipare attivamente alla vita politica e li confina a vittime di decisioni prese altrove.

Così la pensa anche Arnold August, che nel suo libro ‘Cuba e i suoi vicini: democrazia in movimento’, analizza quel fenomeno tipicamente latino-americano chiamato ‘grassroots democracy’, o democrazia partecipativa, presente in declinazioni diverse in Venezuela, Ecuador, Bolivia e, soprattutto, Cuba. Stati socialisti o comunisti che, almeno sulla carta, offrono al popolo più potere decisionale. Un modello, quello cubano in particolare, che gran parte della comunità internazionale, numerose organizzazioni non governative e mezzi di comunicazione occidentali definiscono ‘antidemocratico’ e ‘dittatoriale’, ma che secondo l’autore offre gli spunti per riprendere contatto con gli autentici valori democratici. Ma Cuba è davvero una democrazia? E solo il socialismo è un modello realmente democratico? Secondo August, sì.
Al di là delle tesi provocatorie e quasi borderline di August, questa intervista aiuta a comprendere meglio il dibattito sui diritti civili a Cuba, e offre ottimi spunti per riflettere sulla natura poliforme del concetto di democrazia.

August, quali sono le tesi principali del suo libro, Cuba e i suoi vicini: democrazia in movimento?
L'obiettivo fondamentale è smontare le nozioni preconcette dell'Occidente, come quelle vigenti negli Stati Uniti o in Italia, riguardo alla democrazia che esiste oggi nel Sud, quello che a volte è definito Terzo Mondo. In questo senso comincio tracciando la nozione eurocentrica di democrazia emersa dal dominio coloniale europeo negli ultimi cinque secoli. Questa visione dipinge l'Occidente come l'unica fonte per definire la democrazia. L'eurocentrismo fu poi sostituito dagli USA nel momento in cui diventarono la nuova potenza neo-coloniale e imperialista. Dunque la nozione di democrazia che ruota intorno agli USA è l'ostacolo principale che impedisce alle persone di apprezzare le diverse esperienza democratiche dell'area di cui mi sono occupato, l'America Latina e i Caraibi. Per spiegare ulteriormente questo aspetto ho dedicato un capitolo intero alla democrazia statunitense e ai suoi reali meccanismi di funzionamento per dare un esempio di uno dei sentieri che può prendere la democrazia. In seguito, illustro altri approcci di sviluppo in Venezuela, Bolivia, Ecuador e i loro rispettivi percorsi verso la democrazia, a cominciare dall'elezione di Hugo Chavez nel 1998. Una volta che i lettori possono comprendere il bisogno di uno sguardo pluralistico verso la democrazia, mi occupo del caso più controverso e dibattuto, esaminando il processo elettorale di Cuba. Uno dei temi principali che attraversa il libro è il bisogno di vedere la democrazia non come una struttura fissa, ma piuttosto come un processo costante, e di qui il termine democrazia, o democratizzazione, in movimento. In questo contesto, la chiave per un reale sviluppo in qualunque Paese è in quale misura la democrazia partecipativa si sta sviluppando.

Una domanda scontata ma prevedibile. Come può uno Stato come Cuba, in cui Fidel Castro e in seguito suo fratello Raul sono rimasti al potere per quasi mezzo secolo, e in cui l'unico partito rilevante è il Partito Comunista, definirsi una democrazia?
Si tratta di una domanda scontata e prevedibile perchè i mezzi di informazione statunitensi e anche molti dei principali media italiani continuano a fare disinformazione. Questa si basa su una visione politica incentrata sul modello degli USA per cui il numero dei partiti esistenti in un Paese è il fattore che discrimina se una democrazia è tale o meno. Io dire che il vero test per giudicare se una democrazia è tale è domandarsi quanto rispetti il precetto costituzionale (come esiste anche nella Costituzione cubana) che la sovranità appartiene al popolo. La leadership iniziale della Rivoluzione sul finire degli anni 50 e in seguito il Partito Comunista dalla sua fondazione nel 1965 hanno fatto di tutto perché questo precetto costituzionale fosse applicato, e sono stati fatti sforzi straordinari per sviluppare un tipo di democrazia partecipativa in cui le persone venissero coinvolte, diversamente da quella negli USA. Per quanto riguarda il ruolo individuale dei Castro nel corso di tutti questi anni, entrambi i fratelli hanno governato non imponendosi, ma guadagnandosi il rispetto di gran parte del popolo. Sono stati eletti al parlamento dal popolo. Anche se i cittadini non sono affatto obbligati a votare (possono anche depositare scheda bianca o nulla) entrambi i Castro sono stati eletti nel corso degli anni con più del 95% dei voti. Una volta insediatosi, il Parlamento nomina e vota, tra i deputati eletti, il Presidente del Consiglio di Stato. Se il suggerimento dietro la sua domanda è che ci sia qualche tipo di dinastia, mi spieghi allora come è possibile che il nuovo vice-Presidente sia Miguel Diaz-Canel, che occuperà il posto di Presidente nel 2018, una volta che Raul Castro non potrà più rinnovare il suo mandato. Diaz-Canel non è un Castro, nonostante ci siano molti discendenti della famiglia nel sistema politico cubano.

E come fanno dunque i cubani a scegliere e controllare i loro governanti?
Diversamente dal sistema politico italiano o statunitense, non è un partito politico che nomina le persone che siederanno nelle assemblee municipali o nel parlamento. Nel caso delle assemblee municipali, sono i cittadini stessi a nominare, tra i loro vicini, le persone che si candideranno alle assemblee municipali, nel corso di piccole riunioni. Le elezioni hanno luogo con il divieto di fare campagna elettorale e naturalmente agli eletti non vengono concessi soldi o privilegi. L’unica pubblicità permessa durante le elezioni municipali consiste in una foto e una piccola biografia per ciascun candidato affissa in un luogo facilmente accessibile alle persone. Inoltre, una volta eletti, e in gran parte dei casi, i delegati municipali svolgono il loro lavoro su base volontaria, dopo aver svolto le loro ore di lavoro o di studio (tutti coloro che hanno superato i 16 anni di età sono eleggibili e hanno diritto di voto). Questo è uno tra i tanti modi in cui il sistema cubano si sforza di assicurare il controllo della base sugli eletti. Per quanto riguarda le elezioni al parlamento nazionale, le nomine dei candidati vengono avanzate da apposite commissioni composte da 6 organizzazioni di massa presenti a Cuba: i sindacati, le federazioni femminili, i piccoli agricoltori, i comitati di quartiere, gli studenti universitari e pre-universitari. Il Partito Comunista non è un partito elettorale.

Lei sottolinea, nel suo libro, le dinamiche interne che hanno cambiato la natura della cosidetta “democrazia partecipativa” cubana. In che direzione si è evoluto il sistema negli ultimi vent’anni?
Nel 1992 furono fatte diverse riforme alla Costituzione del 1976 e fu adottata una nuova legge elettorale. Una delle caratteristiche principali di questi cambiamenti fu quella di separare il Partito Comunista dal sistema elettorale rimuovendo la leadership del Partito sulle commissioni per le candidature e attribuendola ai sindacati. L’altra evoluzione fu l’introduzione dell’elezione diretta dei deputati in Parlamento, che prima non era prevista. La domanda da porre è se ci sia bisogno di ulteriori cambiamenti. Dai pareri che ho raccolto tra accademici e ricercatori cubani, c’è senza dubbio spazio per un’ulteriore evoluzione, volta per esempio a rafforzare il ruolo della partecipazione della base nella procedura di nomina del parlamento. Nei prossimi anni vedremo se ci saranno ulteriore riforme alla Costituzione e alla legge elettorale.

Ma questo scenario democratico è possibile solo in uno Stato comunista? Perché non è compatibile con il libero mercato?
Io non credo che questo tipo di democrazia, che lotta per l’inclusione e la partecipazione, possa esistere in un scenario di mercato, dato che in quest’ultimo l’unico valore è l’accumulo illimitato di proprietà privata, che comporta l’esclusione della maggioranza.

Nel contesto della sua analisi, quali elementi hanno in comune con Cuba  gli altri Stati di cui si occupa (Venezuela, Bolivia ed Ecuador)?
Direi due. Innanzitutto, a Cuba la Rivoluzione del 1959 ebbe successo perché Fidel Castro e i suoi collaboratori  non si prestarono a dogmatismi cercando un nuovo percorso rivoluzionario, un percorso a cui il vecchio Partito Comunista si opponeva. La lotta armata rappresentava l’unico modo per andare avanti. In Venezuela, anche  Hugo Chavez era anti-dogmatico nonostante appartenesse alla sinistra. Fu questo anti-dogmatismo che lo condusse a concludere che il percorso elettorale fosse l’unica possibilità per ottenere la vittoria (una strada avversata dalla sinistra più tradizionale) e come con Castro, la storia ha dimostrato che Chavez aveva ragione. Lo stesso si può dire di Bolivia ed Ecuador, che hanno usato le rispettive culture politiche per guidare i loro popoli fuori dalla stagnazione politica ed economica in cui si erano ritrovati. Tutti e quattro questi Paesi hanno in comune nuove costituzioni moderne adottate con l’impulso diretto del popolo. E queste costituzioni e la loro pratica politica puntano tutte alla democrazia partecipativa, non solo rappresentativa.

La legge cubana punisce i dissidenti molto severamente. Un rapporto di Human Rights Watch sostiene che “sebbene il governo cubano abbia rilasciato dozzine di prigionieri politici a condizione che lasciassero il Paese, esso continua a condannare gli oppositori in processi chiusi e sommari”. Che rapporto c’è tra il problema della libertà e dei diritti civili e il sistema politico cubano? Si può risolvere nell’attuale contesto istituzionale?
Prima di tutto, Human Rights watch non è una fonte affidabile di informazioni dato che è legato alle potenze occidentali. Human Rights Watch documenta forse le massicce violazioni dei diritti umani portate avanti dal Governo degli Stati Uniti fuori e dentro i suoi confini? No*. Ciò che Human right Watch definisce dissidenti sono solo quegli individui che lavorano per gli USA e sono pagati per destabilizzare Cuba con l’obiettivo di causare incidenti e fornire un pretesto per un intervento statunitense. Quello che gli USA vogliono è il cosidetto cambio di regime, o lo sconvolgimento dell’ordine costituzionale cubano per installare un Governo pro USA. In questo modo gli stati Uniti potrebbero dettare legge come avveniva prima del 1959. Dunque il termine dissidente, che dà l’impressione che questi oppositori abbiano semplicemente punti di vista diversi dal Governo cubano, non è pertinente. Qualsiasi nazione che si rispetti possiede leggi che proibiscono agli individui di cospirare con una nazione straniera per rovesciare l’ordine costituzionale. Ancora una volta il termine “libertà” non può essere esaminato in astratto. La libertà in un sistema capitalista è la libertà di perseguire il profitto capitalista.  In un Paese come Cuba la libertà include il diritto di partecipare pienamente al sistema politico, il diritto alla sanità, all’istruzione e alle attività culturali gratuite. E perciò il popolo cubano aveva iniziato a risolvere ciò che lei chiama il “problema della libertà” con il trionfo della Rivoluzione nel 1959, quando rovesciò la dittatura di Batista appoggiata dagli USA, che era molto simile al fascismo italiano di Mussolini.

Lei crede che, in un’epoca in cui i cittadini si sentono lontani dalla politica, gli Stati Uniti o altre Nazioni liberali possano trarre spunto da questo sistema di democrazia diretta, così come lo ha dipinto lei?
Ritengo che, ora come ora, il popolo degli Stati Uniti, nelle sue fasce più basse, le grass roots, possa imparare qualcosa dal Venezuela. Deve cercare il modo di formare una forte coalizione per poter vincere le elezioni contro la dittatura dei due partiti negli USA. Il popolo statunitense deve anche imparare da Cuba che un mondo migliore è certamente possibile, in cui i valori umani e la solidarietà possano soppiantare il selvaggio sistema capitalista. Se a Cuba lo si fa dal 1959, giusto accanto agli USA, anche il popolo degli Stati Uniti può aspirarvi. Ma penso che l’ostacolo principale sia l’illusione che riguarda il sistema bipartitico e la sindrome “il minore dei due mali”.

Eppure Cuba sta sperimentando un cambio radicale in questi ultimi anni, almeno da un punto di vista economico, con l’adozione di misure di deregolamentazione che aumentano i margini di iniziativa economica privata. Pensa che questo lento processo possa coinvolgere anche il sistema politico?
Non è così lento, sta avanzando piuttosto rapidamente. E sta già ristrutturando il sistema politico cubano, nel senso che i nuovi lavoratori autonomi e le loro piccole imprese devono essere inclusi nel sistema politico dei sindacati. Inoltre le assemblee a tutti i livelli, specialmente quelle municipali e provinciali, devono essere in grado di controllare e regolamentare questo nuovo settore economico così che il valore dell’eguaglianza, fondamentale per Cuba, rimanga il più possibile intatto; così che nessuno possa arricchirsi ai danni degli altri. In tre province, Cuba sta già sperimentando un rimodellamento del sistema politico. Se questi progetti sperimentali funzioneranno bene (e dal mio ultimo viaggio a Cuba, lo scorso novembre, mi sembra di sì), il piano è di applicarle a tutte e 15.


Ai funerali di Mandela, Obama e Castro si sono stretti la mano. Nel frattempo, molte voci importanti, come il New York Times, numerose organizzazioni internazionali e diversi capi di Stato hanno spinto per la rimozione dell’embargo e una pacificazione tra USA e Cuba. Come vede i futuri rapporti tra i due Stati?
L’ostacolo principale è che gli USA devono rendersi conto che per migliorare le relazioni con Cuba devono rispettare il diritto sovrano del popolo cubano di poter scegliere il proprio sistema politico ed economico. Su questo presupposto ci si può sedere a un tavolo e discutere sulla base del reciproco rispetto. Questo implica la rimozione del blocco su Cuba, altrimenti non avrebbe senso. Tutti i membri delle Nazioni Unite (inclusa l’Italia) hanno votato ancora una volta nell’ottobre del 2013 per togliere l’embargo, con l’eccezione degli Stati Uniti e Israele. Un miglioramento delle relazioni dovrebbe includere la restituzione dell’area di Guantanamo occupata illegalmente dagli USA e dove la reale violazione di diritti umani sta avendo luogo sull’isola. Qualsiasi miglioramento nei rapporti deve anche includere una reciproca soluzione umanitaria nei confronti del prigioniero statunitense Alan Gross, oggi in prigione a Cuba, e i quattro membri rimasti del gruppo conosciuto come i Cinque Cubani, imprigionati negli USA da più di quindici anni. Infine, Cuba deve essere depennata dalla lista degli Stati che sostengono il terrorismo stilata dagli USA. Gli Stati Uniti non hanno mai spiegato perché Cuba dovrebbe essere in quell’elenco. Ad ogni modo, il primo passo comincia dal sedersi allo stesso tavolo e discutere tutte le questioni rilevanti. Raul Castro ha già indicato in diverse occasioni che Cuba è disponibile, da parte sua, a sedersi e discutere senza preconcetti.


* A onor del vero, la risposta è sì. Nella pagina dedicata agli USA, HRW sottolinea una per una queste violazioni


Un fantasma s’aggira per l’isola: quello del ‘cuentapropista’


di   Massimo Cavallini  da il fatto quotidiano on line


Se la si compara con quel che sta accadendo in altre parti del mondo – e l’Ucraina è il primo caso che balza alla mente – la protesta dei ‘cuentapropistas’ di Holguín può apparire poca, anzi, pochissima cosa. E – sebbene, proverbialmente, le apparenze ingannino – è più che possibile che, in effetti, poca, anzi, pochissima cosa sia davvero.

Questi i fatti (ovviamente ignorati dai media locali, ma diffusi nelle ultime ore, urbi et orbi, via Internet): giovedì scorso, nella città di Holguín, capitale dell’omonima provincia nel nord-est dell’isola (ai turisti nota soprattutto per le splendide spiagge di Guardalavaca), alcune centinaia dilavoratori in proprio – per lo più venditori ambulanti – hanno chiassosamente marciato per le vie del centro protestando contro le restrizioni burocratiche che impediscono loro di lavorare come vorrebbero (e potrebbero, stando alle nuove leggi).
Niente di che: molte grida di protesta, qualche spintone e, pare, una manciata di arresti…Nulla, in ogni caso, che suggerisca, anche solo per remote assonanze, l’imminente arrivo di ‘primavere’ di sorta. Un po’ perché le dimensioni degli eventi non lo consentono, e un po’ perché le sorti d’altre e recenti primavere, tutte rapidamente discioltesi in sanguinosi ed interminabili inverni, hanno ormai trasformato in un’espressione di malaugurio questa, un tempo luminosa, metafora stagionale. Una cosa è tuttavia certa: nella morta gora della Cuba castrista – dove, per molte ragioni, nel mezzo secolo abbondante della “revolución” il dissenso ha sempre preso, non la via della piazza, bensì quella della fuga dal grigiore d’un unanimismo senz’anima – anche un piccolo atto di ‘rebelión callejera’ rappresenta un fatto nuovo ed insolito. Un fatto, dal quale si può, con ragionevole certezza, ricavare almeno una modesta, ma significativa profezia. Se i molto timidi ‘aggiornamenti’ del socialismo imposti negli ultimi anni da Raúl non sono, come già furono in passato, che meri espedienti tesi a tenere a galla un economia da troppi anni basata su principi di pura sopravvivenza, il regime dovrà prima o poi (più prima che poi) fare i conti con le forze nuove e con le nuove contraddizioni che il cambiamento ha liberato.

In che modo? Stando alle cifre fornite lo scorso dicembre dalla Asamblea Nacional del Poder Popular i lavoratori “en cuenta propria” – o, per l’appunto, ‘los cuentapropistas’ – sono oggi 444,109. Ed il loro numero va aumentando in ragione, grossomodo, d’un 10 per cento all’anno. Sono molti? Sono pochi? E soprattutto: quanto profondi sono i cambiamenti che la presenza di questi (relativamente) nuovi protagonisti economici e sociali preannuncia nel più prossimo (e meno prossimo) futuro?
Rispondere non è facile. Ma un paio di cose si possono dire. La prima: i ‘cuentapropristi’ sono sicuramente pochi se valutati in rapporto alle esigenze macroeconomiche d’un paese – Cuba, per l’appunto, – che ha il disperato bisogno di ridurre (d’almeno un milione e mezzo d’anime, stando a quel che lo stesso Raúl ha a suo tempo calcolato) il numero dei lavoratori alle dirette dipendenze d’uno Stato tanto onnipresente quanto bolso, inefficiente e (talora ridicolmente) autoritario. E sono sicuramente, i ‘cuentapropisti’, non solo molti, ma decisamente ‘troppi’ rispetto alle paure, ai ritardi ed al plumbeo istinto d’autoconservazione di quel medesimo Stato, da un lato immancabilmente destinato a crollare sotto il proprio peso e, dall’altro, troppo pesante –mentalmente pesante – per riuscire a muoversi in direzione di qualsivoglia futuro.
I molto modesti ‘disordini’ di Holguín sono, al di là delle loro concrete dimensioni, molto potenzialmente importanti proprio perché ci raccontano di questa intrinseca contraddizione. Quella d’un regime che ha bisogno di cambiare (e che sta, in effetti, cambiando), ma che, avendo canonizzato sé stesso (peccato, questo, comune a tutte le forme di socialismo più o meno reale) non può neppure permettersi, lessicalmente parlando, di chiamare ‘riforma’ quel che cambia, preferendo, invece, dibattersi nel limbo d’un ‘aggiornamento del socialismo’ che, ad ogni passo, smentisce se stesso.
In concreto: quel che resta del castrismo ha – e non da oggi – un’assoluta necessità di riconsegnare all’iniziativa privata parte d’una economia asfissiata dalla sua stessa, sbrindellata ubiquità. Ma, nel soddisfare questo impellente bisogno, non riesce, come in un pavloviano riflesso, a resistere alla tentazione di limitare e di punire, con restrizioni assurde, o con insensate tassazioni, le forze che ha evocato per salvare se stesso. Vuole, il governo cubano, liberare la sua ‘plantilla’ statale dal peso di 1.500.000 lavoratori, ma nel contempo impone ai ‘cuentapropristi’ tasse che percentualmente aumentano a seconda del numero di dipendenti che assume. Più bene mi fai, più io ti castigo.
Assurdo? Certo. Ma non tanto assurdo se giudicato nell’ottica d’un regime che nulla vuol cedere in termini di potere politico. E che con orrore contempla, al di là delle proprie necessità pragmatico-materiali, il crescere di forze sociali che, spinte dalla propria indipendenza economica, possano rompere lo schema dell’assoluta obbedienza fin qui reclamata in cambio del soddisfacimento (spesso fittizio) di tutte le esigenze di base.

Verrebbe da dire, parafrasando il Karl Marx del Manifesto (un libro che, anche nel socialismo ‘aggiornato’ di Raúl, è parte della filosofia di Stato e che, per questo, continua ad esser studiato nel più pedestre dei modi): ‘Un spettro s’aggira per Cuba: lo spettro del cuentapropismo…’. Come finirà nessuno può dirlo. Ma di sicuro qualcosa, nel regno dei Castro, è cominciato…


giovedì 23 gennaio 2014

PER LA PRIMA VOLTA IN MEZZO SECOLO, CASE E LOCALI IN AFFITTO AI CUBANI





Il governo cubano ha autorizzato le società immobiliari ad affittare case e locali commerciali ai cubani, sollevando un divieto durato decenni, secondo una risoluzione pubblicata ieri nella Gazzetta Ufficiale.
La risoluzione autorizza “i cittadini cubani residenti a Cuba” a contrattare “i servizi immobiliari di locazione offerti da enti immobiliari autorizzati”. Tuttavia, la risoluzione avverte che i cubani non potranno affittare questi immobili in funzione di “scuole internazionali, agenzie di stampa e organizzazioni non governative”.

Finora, solo gli stranieri residenti nell’isola e le istituzioni (nazionali o straniere) potevano affittare immobili dalle agenzie immobiliari, che sono statali o di capitale misto.


Alla fine del 2011, Raúl Castro aveva autorizzato la compravendite delle case, anch’essa vietata per decenni.

venerdì 17 gennaio 2014

Cuba, la rivoluzione delle cooperative


 
Apertura della tv di Stato, che lancia una “scuola della cooperazione”. La Chiesa Usa ha inviato 500mila dollari “per assicurarsi che i cubani apprendano la Dottrina sociale cattolica”

ALVER METALLI
BUENOS AIRES

Cos’è una cooperativa, come sorgono in altri paesi, che vantaggi offrono... sono tutte domande che di per sé non hanno nulla di dirompente ma che riproposte a Cuba suonano in tutt’altra forma. Se poi, a formularle, con relativa risposta elogiativa, è la televisione cubana, quella di Stato, l’unica che gli abitanti dell’isola possono vedere fatto salvi gli audaci che intercettano i segnali  provenienti da Miami, la cosa ha del “rivoluzionario”.
Il seminario “Verso una cultura cooperativa” che da pochi giorni ha cominciato a trasmettere il Canale educativo statale non ha precedenti nella storia della televisione cubana. Anzi, cooperative e forme economiche a vario titolo basate sull’iniziativa privata sono sempre state tabù, quando non apertamente biasimate. Adesso sembra proprio che il cooperativismo sia la chiave di volta con cui Raúl Castro intende de-statalizzare l’economia cubana senza de-nazionalizzarla. Con grande attenzione della Chiesa, cubana e degli Stati Uniti, che ha inviato nell’isola l’ausiliare di Chicago, John Manz con un pacchetto di aiuti di 500mila dollari annuali “per assicurarsi che i cubani apprendano la Dottrina sociale cattolica” mano a mano che aprono negozi e avviano cooperative.
Quello appena inaugurato sulla televisione di Stato “non è un corso specializzato su come costruire una cooperativa nei suoi aspetti tecnici, economici e finanziari” precisa Jesús Cruz, professore della Facoltà di Economia dell’Università di L’Avana che ha a carico il coordinamento del seminario. Le trasmissioni saranno 11, tutte realizzate dall’Università con la collaborazione dell’Asociación Nacional de Economistas de Cuba (Anec).
Il nesso con quel che sta avvenendo nella società cubana, dove alcune centinaia di cooperative hanno cominciato a funzionare e altre se ne aggiungeranno nelle prossime settimane, è evidente. Alcides López, docente e relatore nel programma televisivo, lo stabilisce apertamente facendo notare come il corso è “risultato dell’aggiornamento del modello economico del paese” dove il cooperativismo avrà un ruolo vieppiù rilevante. Ragion per cui “la popolazione deve conoscere il tema”.
Il corso sarà strutturato in due cicli, il primo sulla situazione delle cooperative nel mondo, il secondo sulla storia e lo sviluppo cooperativo a Cuba. Questa seconda parte, si legge nel programma, si centrerà sulle cooperative operanti nel paese, quelle di credito e servizi, quelle di produzione agropecuaria e le cooperative operaie. “Si esamineranno le ragioni e le condizioni della loro nascita, cosa le differenzia e le caratteristiche principali, i vantaggi e i limiti che possono avere”.
Verranno anche ascoltate le esperienze di persone che lavorano in cooperative “di successo” a Cuba tra le 250 (non agropecuarie) che si sono aperte negli ultimi tempi, “per conoscere e capire dalla loro bocca come hanno ottenuto i risultati che oggi esibiscono”.
Un altro economista cubano che prenderà parte all’inedito corso televisivo, Henry Colina, sottolinea che “non ci sono divieti perché le persone si associno a una cooperative qualunque”. Chi si riunisce sono persone “che hanno necessità comuni, si conoscono, hanno fiducia tra loro e si lanciano in una azione collettiva di natura economica ma non solo economica”. Segue una definizione che farebbe invidia al cooperativismo di tradizione cattolica e socialista di altre latitudini, quella di “associazioni autonome che si riuniscono per affrontare le proprie necessità e le proprie aspirazioni di natura economica, sociale o culturale, basandosi sulla gestione collettiva della proprietà e una amministrazione democratica”.

Offerte promozione voli

Notizia di agenzia da verificare



Lanciata da Air Europa una nuova promozione dedicata al mercato italiano per volare a Cuba fino al 29 giugno (ultimo ritorno 15 luglio – black out dal 13 al 19 aprile). L’offerta – soggetta a disponibilità – è valida fino al prossimo 21 gennaio, ultimo giorno utile per effettuare l’acquisto dei biglietti, e permette di raggiungere l’Havana con una tariffa che parte da 546 euro a/r tasse incluse (diritti di agenzia esclusi).

La compagnia spagnola del Gruppo Globalia Corporacion, gestito dalla famiglia Hidalgo, collega l’Italia allo scalo di Barajas con due partenze quotidiane sia dall’aeroporto di Milano Malpensa sia da quello di Roma Fiumicino. Dall’hub madrileno il vettore propone ottime coincidenze con numerose destinazioni internazionali, tra cui la stessa Cuba.
www.air-europa.com

giovedì 16 gennaio 2014

Vendita auto, i conti dell'oste...non tornano


Doccia fredda su una delle riforme promosse recentemente dal Governo cubano. Delusione e inquietudine sono state sollevate dal nuovo sistema di “vendita libera” delle auto. Al di la delle modalità da seguire per l’acquisto: il venditore è solo l’Impresa Cimex, quello che sembra una beffa sono i prezzi. È stato stabilito un “coefficiente 8” per le auto nuove e uno 15 per quelle usate, vale a dire per esempio che una Kia Picanto nuova (valore 8.000 $) ne costa la bellezza di 64.000 (sessantaquattromila!!!!!). Una Moskvich degli anni ’80 del valore (ottimistico) di 2.000 $, ne costa 30.000, se acquistata alla Cimex, ammesso che ci sia.
A questo punto come reagirà il mercato di compravendita dell'usato tra privati? Certamente anche in questo caso ci sarà una forte spinta al rialzo dei prezzi già elevati.
Il presidente aveva detto che gli introiti di queste vendite sarebbero andati in un fondo dedicato al miglioramento del trasporto pubblico. Ma la domanda è: quali ingressi? Chi si può o vuole permettere l’acquisto di una macchina a questi prezzi? La risposta è ovvia e banale: nessuno. E in effetti dall’entrata in vigore dei questa disposizione le vendite sono paralizzate.
Altro motivo di delusione è, per chi era in possesso della famosa “carta de compra” che veniva data con tempi biblici a persone che potevano dimostrare di avere avuto, dallo Stato e non privatamente, i fondi in valuta convertibile per poter acquistare un’auto a prezzi ragionevoli. Adesso queste lettere sono vigenti solo come motivo di prelazione per l’eventuale acquisto, ma la disponibilità di questi fondi non è più in linea con i costi. In pratica le lettere sono prive di ogni valore. Ci sono persone che hanno sacrificato anni di vita, quasi sempre lontani dalla famiglia, anche con la speranza di poter comprare il tanto desiderato e molto utile veicolo. Attese e speranze frustrate.
Rimane da chiedersi chi e come ha elaborato questi “coefficienti” e se non sarà il caso di rivederli facendo qualche conto alla maniera delle buone donne di casa...l’oste questa volta ha portato un conto veramente salato e impagabile. 

lunedì 13 gennaio 2014

Le App più usate di Android a Cuba

11/01/2014



YOANI SANCHEZ
Si vede da ogni parte un robot verde con le antenne. Nelle pubblicità dei riparatori di telefoni mobili, su certe simpatiche camicette e persino esposto sul parabrezza di alcune auto. 

Non è solo l’icona di Android a trovarsi in primo piano in molti luoghi all’interno di Cuba. Lo stesso sistema operativo Google è cresciuto in popolarità nel corso dell’ultimo anno. La creatura basata su Linux si trova in buona parte dei telefoni intelligenti che entrano nel paese, per via legale o illegale. 
Se diamo un’occhiata al contenuto di questi Smartphones, noteremo la prevalenza di applicazioni che si svolgono offline. Gli utilizzatori cubani preferiscono quelle che funzionano senza accesso a Internet, per limitare al massimo il disagio di vivere nell’“Isola dei non connessi». 

Sono molto richieste le mappe dell’intero paese, enciclopedie con immagini incluse, traduttori in diverse lingue, giochi di ruolo e ogni tipo di strumento utile per affrontare il quotidiano. 
Dopo aver intervistato diversi utilizzatori e alcuni negozi di telefoni mobili, possiamo stilare un elenco che comprende le dieci applicazioni più popolari di Android a Cuba. 

WikiDroyd: Una versione della nota enciclopedia interattiva Wikipedia, che comprende non solo il testo delle schede ma anche le immagini. Funziona senza connessione a Internet, anche se il database deve essere scaricato telefonicamente. Basterà chiedere al tecnico per ottenere la versione più aggiornata in spagnolo, pari quasi a due gigabytes di peso. 
EtecsaDroyd: Copia pirata della guida telefonica dell’impresa ETECSA. Comprende il nome completo, numero di carta d’identità e persino l’indirizzo privato di ogni abbonato. Anche se queste informazioni dovrebbero essere potette e non di dominio pubblico, ogni anno trapelano e finiscono nei computer e nei telefoni di migliaia di persone. Un ulteriore esempio di quelle cose proibite che tanti cubani fanno. 
WiFiHacker: Strumento per hackear reti WiFi e quindi poter accedere al web senza costi. Può sembrare abbastanza inutile in un paese dotato di poche connessioni Internet senza fili… ma non si sa mai. 
Revolico: Una versione non autorizzata del famoso sito di annunci Revolico.com. Dotata di aspetto semplice, questa app permette di scaricare gli annunci di compravendita in diverse categorie. Il suo uso si è esteso rapidamente vista la crescita del mercato illegale o alternativo, a detrimento dei mercati statali molto cari e poco riforniti. 
Go SMS Pro: Magnifica applicazione di messaggeria, per amministrare SMS e MMS. Molto migliore rispetto all’applicazione originaria di Android pensata a questo scopo. Sfondo chiaro, molti temi per cambiare l’aspetto grafico, correttore ortografico e persino una simpatica configurazione di pop-up che avvisano quando arrivano nuovi messaggi. 
Gestore di dati ASTRO: Permette di amministrare gli archivi contenuti nel telefono mobile o nel tablet. Questa applicazione faciliterà il compito a coloro che amano indagare tra cartelle e directory. Bastano pochi clic per cancellare, copiare, rinominare e trovare determinati dati. 
Photo Studio: Ritagliare una foto, applicarle un buon filtro di colori o semplicemente ritoccarla, non era mai stato così facile. Basta selezionare un’immagine in alta definizione e ridurla alla grandezza che consenta di inviarla per MMS (Multimedia Messaging System), a Cuba consentiti fino a un massimo di 300 kilobytes per invio. 
OfficeSuite Pro: Per chi porta appresso l’ufficio ovunque vada questo è un magnifico strumento per scrivere, annotare e appuntare le idee che possono venire nei luoghi più impensati. Permette anche di creare e leggere archivi di Excel, Power Point e Adobe Reader.
Linterna: Nei cinema bui dove mancano le maschere o in quelle scale senza lampadine, una cosa semplice come una lanterna ci salverà da uno scivolone. Funzionalità come questa fanno capire che un telefono possa anche comportarsi in maniera molto semplice ma imprescindibile. 
OsmAnd: Appartiene a una serie di applicazioni molto apprezzate per offrire mappe offline. Qui si trovano anche OruxMaps, City Maps 2Go, MapDroyd, Soviet Military Pro. Anche se il servizio di GPS satellitare non è disponibile, la localizzazione geografica funziona abbastanza bene grazie alla “triangolazione delle antenne” di telefonia mobile. Comprende mappe stradali molto dettagliate delle principali città cubane, ma nelle zone rurali la descrizione dei percorsi non è così precisa. In un paese con strade e vie mal segnalate… questo strumento è quasi miracoloso. 

Traduzione di Gordiano Lupi


Alchimie e menzogne

09/01/2014




YOANI SANCHEZ

Viviamo in una società di alchimisti. Non trasformano il ferro in oro, ma sono abili a sostituire ingredienti e a falsificare di tutto. Il loro scopo è truffare i clienti e rubare allo Stato. Per far ciò utilizzano persino la tavola periodica di Mendeléyev cercando elementi che possano essere sostituiti con altri più economici.
Alcune di queste formule ingegnose meriterebbero un anti Nobel per la Chimica, specialmente per gli effetti nocivi sulla salute che possono provocare. Basta vedere una ricetta per fare salsa di pomodoro che comprende barbabietole, patate dolci bollite, spezie, farina di mais e colorante rosso, di quello usato per i capelli. Se un osservatore curioso chiede: “E il pomodoro? Gli inventori rispondono quasi con un rimprovero: “No, il pomodoro non c’è”.
Le strade sono piene di tubetti di colla che quando si spremono contengono soltanto aria. Confezioni di sciampo mescolato con il detergente per lavare gli indumenti. Saponi con frammenti di materiale plastico aggiunto in fabbrica da impiegati che rivendono la materia prima. Bottiglie di rum prodotte clandestinamente con alcol sanitario e zucchero caramellato per simulare invecchiamento. Acqua imbottigliata, riempita da qualche cannella e messa in vendita sugli scaffali di molti mercati.
Per non parlare delle imitazioni dei sigari Cohiba e di altre marche, vendute agli ingenui turisti come se fossero autentici. Niente è quel che sembra. Buona parte della popolazione accetta tali contraffazioni manifestando una sorta di solidarietà con il truffatore. “Le persone devono pur vivere!”, dicono, giustificando la presa in giro, persino i più danneggiati.
Nel lungo elenco dei prodotti falsificati, il pane del razionamento occupa il primo posto. È il prodotto più contraffatto della nostra alimentazione, la cui formula originale è andata perduta da decenni per colpa dei modelli standard e della sottrazione di risorse.
Nelle panetterie, gli “alchimisti” raggiungono livelli di vera genialità. Aggiungono enormi quantità di lievito affinché l’impasto cresca a dismisura e si ottenga quel “pane d’aria”, che lascia le gengive dolenti e lo stomaco vuoto. Per non parlare di quando viene sostituita la farina da forno con altra usata per produrre pasta e spaghetti. Grazie a tale procedimento nella nostra bocca finisce una cosa dura, secca e senza aroma. Meglio non guardare prima di mangiarla perché l’apparenza è peggiore del sapore. Se Paracelso resuscitasse, dovrebbe venire su questa Isola. Ne avrebbe di cose da imparare!

Traduzione di Gordiano Lupi  

venerdì 10 gennaio 2014

Cuba, riprendono i negoziati con Usa su migrazione


Il via del secondo round delle trattative da luglio nel giorno della prima apparizione pubblica da aprile dell'ex leader Fidel Castro

Stefania Spatti
9 Gennaio 2014, 18:52
Nel giorno in cui l'ex presidente cubano Fidel Castro, 87 anni, ha fatto la sua prima apparizione pubblica dal 9 aprile scorso per fare visita a uno studio d'arte, Cuba ha ripreso le trattative con gli Stati Uniti sull'implementazione di un accordo esistente da quasi due decenni per incoraggiare una migrazione legale e sicura tra i due Paesi. Lo ha confermato un funzionario della "U.S. Interests Section" (Usint) ad Havana, l'edificio dove aveva sede l'ambasciata degli Stati Uniti e in cui vengono svolte funzioni simili a quelle messe in atto dal governo americano all'estero: servizi consolari, attività economiche e politiche, programmi diplomatici e trattamento di richieste di rifugiati.

Le trattative, che termineranno domani, rappresentano il secondo round dopo quello tenuto a Washington nel luglio del 2013 e che a sua volta si era verificato in seguito a due anni di paralisi.

La delegazione americana è arrivata sull'isola cubana martedì. I negoziati riguardano l'implementazione delle intese raggiunte nel 1994 e 1995, dopo una crisi in cui migliaia di cubani hanno lasciato l'isola e a bordo di zattere hanno disperatamente tentato di raggiungere la Florida. "In base a questi accordi, entrambi i governi sono impegnati a promuovere una migrazione sicura, legale e ordinata dei migranti tra i due Paesi", ha recentemente dichiarato un portavoce degli Stati Uniti.

La legge americana concede automaticamente lo status di rifugiato ai cubani che riescono ad approdare sulle coste statunitensi. Sebbene Havana e Washington non abbiano relazioni diplomatiche complete dal 1961, questioni bilaterali sono gestite dai rispettivi uffici nelle capitali dei due Paesi.


I negoziati sono partiti dopo un mese dalla stretta di mano tra il presidente americano Barack Obama e quello cubano Raul Castro - fratello di Fidel, al potere dal gennaio 2008 - avvenuta in Sud Africa in occasione di un memoriale dedicato a Nelson Mandela. Tra l'altro i cubani stanno viaggiando all'estero grazie a un insieme di nuove leggi più morbide. Nei primi 10 mesi del 2013 i cittadini dell'isola hanno effettuato oltre 250.000 viaggi all'estero. Il 36% circa del totale aveva come meta gli Stati Uniti, dove c'è una larga comunità cubana.

giovedì 9 gennaio 2014

Giocattoli di peluche

Sito ponte su:   http://cubareale.webnode.it/

08/01/2014





YOANI SANCHEZ
Sopra il divano c’è un cagnolino di peluche senza un occhio e con un orecchio scucito. Trent’anni era il giocattolo di una bambina che adesso ha due figli. Nessuno di loro ha l’età per aver conosciuto il mercato razionato dei prodotti industriali. Per questo motivo, quando la mamma spiega che quel bambolotto era stato assegnato come prodotto “di base”, la guardano come se parlasse cinese. Per loro è tutto diverso. Fin da quando sono piccoli sanno che i giocattoli si vendono solo in moneta convertibile. A volte quando li portano al grande mercato della strada Carlos III restano con il viso attaccato al vetro davanti a un pony di colore rosa e a una casetta di plastica con il camino. 

Sono due generazioni diverse ma unite da simili inquietudini. Alla trentenne toccò in sorte un’epoca caratterizzata dal sussidio sovietico e dalla distribuzione regolamentata… di quasi ogni prodotto. I suoi bambini, da parte loro, hanno vissuto tempi di dualità monetaria e di ristrettezze. Mentre per lei il Giorno dei Re Magi non si celebrava a gennaio, ma era stato posposto ufficialmente a luglio e con un nome diverso, i suoi figli hanno visto la rinascita frenetica di molte tradizioni. 
Negli anni Ottanta la nonna di quella bambina con il bambolotto di peluche, raccontava sussurrando la storia di Baldassarre, Melchiorre e Gaspare. Una volta cresciuta insegnò ai suoi rampolli – senza precauzioni – il rituale della lettera con le richieste e dell’acqua predisposta per far abbeverare i cammelli. 

Oggi la bambina d’un tempo ha atteso il sorgere del sole fuori da un negozio di giocattoli molto diverso da quelli della sua infanzia. Nessuna impiegata pretenderà da lei una tessera del razionamento con tagliandi da strappare e caselle dove segnare il numero corrispondente a ogni prodotto. 
Adesso sono i pesos convertibili – che non riceve con il suo salario – gli unici che daranno ai suoi figli acceso a bambole, carretti o ad alcune semplici palline di vetro. Per questo motivo conta le monete e calcola mentalmente a quale scopo serviranno. Deve fare presto, i bambini si saranno svegliati e staranno cercando i regali dei Re Magi per tutta la casa. Alla fine riuscirà a comprare un flauto di plastica e un cagnolino di peluche con gli orecchi grandi e gli occhi azzurri. 

Traduzione di Gordiano Lupi 
www.infol.it/lupi 



Nota del traduttore: Nella tradizione cubana prerivoluzionaria – adesso ripresa - i regali per i bambini li portano i Re Magi e non Babbo Natale (Santa Claus, che dir si voglia). Il giorno dei doni è il 6 gennaio, non il 25 dicembre; i bambini sono soliti scrivere una letterina ai Re Magi, quindi lasciano una ciotola d’acqua sulla veranda per far abbeverare i cammelli. 

Senza impegno

08/01/2014




YOANI SANCHEZ
Rosso e nero, sono i colori del quotidiano Granma. Ma a differenza della famosa opera di Stendhal, nelle sue pagine il lettore non troverà realismo, ma proselitismo. Quando l’organo ufficiale del Partito Comunista sceglie un titolo, non lo fa con lo scopo di informare, quanto per imporre un’idea. 
Così è accaduto giovedì scorso con la frase che si poteva leggere nella prima pagina di quel giornale. Estrapolate dal discorso di Raúl Castro a Santiago de Cuba, quelle parole chiarivano che “La rivoluzione va avanti come sempre, senza impegni privilegiati con nessuno, soltanto con il popolo!”. Con tale affermazione, sia l’oratore che gli editori volevano enfatizzare qualcosa che in realtà non era molto chiaro. Vale la pena tentare di decifrare il suo significato. 

Sono trascorsi 55 anni da quando ha avuto inizio la cosiddetta Rivoluzione Cubana, quindi il riferimento a possibili impegni non riguarda certo le sue origini. Va da sé che con tali parole il Generale non alludeva alla rottura e al venir meno di determinati favoritismi e aiuti di cui hanno goduto i ribelli per oltre mezzo secolo. La frase non suona come un addio ai vecchi compagni di strada che hanno messo a disposizione lavoro e capitali, sostenendo per decenni questo sistema. 
Allora, chi intende indicare Raúl Castro con quel “nessuno” ai quali toglie ogni possibilità di reclamo? Certo, il suo obiettivo non è neanche il Palazzo di Miraflores per l’eccessivo sussidio che Cuba riceve dal Venezuela. Infatti questo sostegno economico ha prodotto maggiori obblighi politici sul governo che mantiene piuttosto che su quello mantenuto. 

Pensare che si tratti di un’allusione per superare le responsabilità legate all’appartenenza alla CELAC (Comunità degli Stati Latinoamericani e dei Caraibi, ndt), sarebbe quanto meno ingenuo. Allora, di che cosa parlava quest’uomo in uniforme militare quando pronunciava le frasi banali di un discorso preparato? A che cosa si riferiva? La risposta più plausibile indica come riferimenti la Casa Bianca e Bruxelles. 
Ogni negoziato o conversazione necessita un minimo di obblighi da compiere. Ogni parte coinvolta in un accordo vuole essere certa che l’altra faccia uguali o maggiori concessioni rispetto alle proprie. È evidente che nel 2013, tanto gli Stati Uniti come l’Unione Europea hanno compiuto passi in avanti per mitigare la temperatura diplomatica tra loro e Piazza della Rivoluzione. 
Alcuni politici avevano cominciato a parlare di facilitazioni, accordi e persino di un nuovo atteggiamento da tenere nei confronti della Maggiore delle Antille. Il piatto era già stato servito per festeggiare accordo e dialogo. Per tutta risposta, l’ingrato convitato si è fermato e ha rovesciato il tavolo. 

“Senza impegni…”, ha gridato Raúl Castro affrettandosi a ribadirlo in lettere rosse sul quotidiano Granma. Gli interessati ai quali è stata indirizzata la frase sono stati avvertiti, adesso sanno come devono comportarsi.  
   

Cuba: stop alle aperture con gli Usa. La ‘Revolución’ continua


di Andrea Lupi e Pierluigi Morena | 7 gennaio



“Combatientes del Ejército Rebelde” è stato l’incipit del discorso di Raúl Castro Ruz nell’atto commemorativo del 55°  Anniversario del “triunfo de la Revolución” celebrato nel parco “Carlos Manuel de Céspedes” di Santiago, lo stesso luogo dove il 1 gennaio del 1959 il comandante Fidel annunciava all’isola e al mondo la vittoria dei rivoluzionari su Batista ed il suo regime.

Erano lì ad ascoltare, nel luogo simbolo della Rivoluzione, i “combattenti dell’esercito ribelle”, gli ex guerriglieri di Fidel, gli uomini della nomenclatura, il ministro degli esteri venezuelano, Elías Jaua. Nell’anno 55° della Rivoluzione il presidente cubano ha tenuto a ribadire che l’isola risponderà alle aggressioni esterne; messaggio nemmeno tanto allusivo lanciato all’eterno nemico americano, colpevole di aver risposto alle aperture ipotizzate da Castro lo scorso 21 dicembre ponendo come pregiudiziale, per l’avvio del dialogo, il rispetto dei diritti civili nell’isola.

Il leader cubano ha parlato apertamente di una nuova destabilizzazione ideologica degli Stati Uniti tendente ad avviare “una campagna di sovvertimento ideologico in favore di spinte neoliberiste e per la restaurazione del capitalismo”.

La ripresa delle relazioni diplomatiche con gli Usa, interrotte nel lontano 1961, è di là da venire, l’apparato cubano non sembra accettare ammonimenti sul campo dei diritti umani e delle libertà politiche e la propaganda, da sempre, rimarca enfaticamente il supporto fornito dagli Stati Uniti “ai malversatori dell’apparato di Batista”.

Lo ha fatto nuovamente Raúl Castro nell’abituale discorso di inizio anno, sottolineando come l’isola, situata a sole novanta miglia dalla costa statunitense, continuerà a poggiare le sue basi sui solidi pilastri del socialismo rivoluzionario.

Il portale Granma, organo ufficiale del comitato centrale comunista, riporta per esteso l’intervento del leader cubano, tredici pagine di prolusioni sui più vari eventi storici; dalle lotte per l’indipendenza dal giogo spagnolo al ruolo esercitato dalle donne di Cuba nel processo rivoluzionario, con Castro che è arrivato ad esaltare la serie “Clandestinas” trasmessa dalla Televisione di Stato per rendere il giusto omaggio alle “muchachas” che rischiarono la vita nella lotta al regime.

Il sito Granma non dedica però una riga agli asfissianti controlli sul web, alle restrizioni nell’uso delle antenne paraboliche, alla repressione della dissidenza e all’assenza di libertà sindacale.

La Revolución sigue igual!”, “la Rivoluzione continua!” conclude Raúl.

(Esclamazioni: Viva la Rivoluzione! Viva Fidel e Raúl!)

(Ovazione)


Chiude la sua cronaca il Granma. L’organo del comitato centrale. 

martedì 7 gennaio 2014

Cuba; al via la vendita di auto nuove, ma i prezzi sono inaccessibili

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La decisione, a suo modo rivoluzionaria, è di alcuni giorni fa. Il quotidiano Granma aveva scritto che Cuba liberalizza il mercato delle auto, allentando le restrizioni sull’acquisto di macchine nuove e usate.
Da oggi, per la prima volta dalla rivoluzione del 1959 i cubani possono comprare veicoli nuovi e vecchi, senza il bisogno di affrontare la burocrazia dei permessi governativi. Fino a due anni fa, le uniche auto disponibili liberamente a Cuba erano quelle importate prima della rivoluzione. A Cuba ci sono 60 mila vecchie auto fra Chrysler, Ford, Buick, Plymouth, Pontiac. Nel 2011 era stato consentito per la prima volta la compravendita tra privati di auto nuove, ma serviva una lettera di autorizzazione da parte del governo, che spesso si faceva attendere.

La riforma rischia per ora di rimanere sulla carta. I cubani si sono svegliati con un diritto in più, ma davanti a prezzi astronomici e, quindi, inaccessibili. Un esempio? Un crossover Peugeot 4008 nuovo è in vendita a 239.500 dollari (174.605 euro) dal concessionario Sasa dell'Avana (in Francia costa 34.150 euro, 46.000 dollari). Anche le auto di seconda mano hanno prezzi scoraggianti: dal concessionario Cimex una berlina Hyundai Sonata del 2010 costa 60.000 dollari (43.742 euro), una Volkswagen Passat dello stesso anno 67.500 dollari (49.210 euro). Con lo stipendio medio mensile a Cuba attorno ai 20 dollari, meglio le care, vecchie e caratteristiche auto d'epoca.

venerdì 3 gennaio 2014

Wendy Guerra. Spiegare Cuba

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29 Dicembre 2013

Questa foto di Pilar Rubi interpreta il mio vero mondo avanero, il mio scenario cubano personale, il mio ritiro insulare alla fine di ogni viaggio e il silenzioso cammino nella genesi del mio “tropidramma”.
Vita di baia ‘a borsa’, territorio circondato dall’acqua e breve sbocco sul mare senza frontiere visibili. Odissea intrinseca, indecifrabile. Forgiata da 50 anni di codici sigillati con la ceralacca. Occhi spalancati, mani disposte a indicare il pericolo, il piacere, la vita reale.
Io continuo a stare qui, felice o sventurata, rido, piango o mi lamento lanciando dardi di miele e inchiostro di china. Le mie battaglie partono sempre da qui, con il mio accento, nella mia lingua, questa lingua che pronuncia il dolore e la gioia in modo famigliare, riconoscibile. Qui io ardo, nel sole dei giorni e nelle notti, indurendo la mia testa e la mia pelle con le lune di Cuba.
Per mimetizzarci e sopravvivere impariamo a tradurre nomi o argomenti di una certa gravità in gesti nascosti. Fidel, ad esempio, si indica descrivendo la barba con una simpatica mimica che scende a punta verso il basso. Negro, sfregando il dito indice nella parte superiore dell’altra mano. ‘Zitto, che ci sono i microfoni’, chiudendo la bocca come una cerniera immaginaria e indicando subito dopo il soffitto con il dito indice. Raúl, facendo gli occhi da cinese con uno o due dita.
Sostituiamo il linguaggio verbale con codici gestuali, simili a quelli dei sordomuti, ma un po’ più timidi e discreti.
Anche per la nostra nevrosi dei telefoni-microfoni esiste una bella varietà di palliativi. Se al telefono chiediamo a un’amica o a una vicina di procurarci della carne di manzo (al mercato nero) dobbiamo sostituire questo termine con tessuto rosso. Se vogliamo comprare dell’aragosta, allora diciamo che vorremmo uno scarafaggio di mare.
Nel caso in cui ci serva la benzina, diremmo cibo per l’animaletto azzurro, verde o bianco, a seconda del colore della nostra automobile. Se quello che chiediamo è latte in polvere, allora dovremmo chiamarlo talco.
La semiotica della ricerca quotidiana di viveri ci porta a sviluppare nuovi codici nel linguaggio domestico. Simulatori verbali. Metalinguaggi di routine, schemi polisemantici dello sproposito vanno diversificandosi, reinventando o modificando i significati originali, a seconda dello stato degli avvenimenti interni.
Saremmo davvero sprovveduti a credere che ci ascoltano tutti quanti allo stesso modo, o che chi ci ascolta non conosce le nuovi denominazioni, perché anche chi ci sorveglia ha bisogno di talco, di cibo per l’animaletto rosso, vuole lo scarafaggio di mare e deve provare di tanto in tanto alcuni centimetri di tessuto rosso.
Ciò significa che il compagno che ci ascolta decifra i nostri codici a memoria e comprende e controlla perfettamente ‘la giocata’. È per questo che tutti questi surrogati vocali cambiano velocemente e noi dobbiamo spiegare a chi rientra a Cuba, dopo mesi e anni di assenza, o a chi visita l’isola per la prima volta, di cosa stiamo parlando.
Spiegare Cuba è un compito difficile per chi oggi non la vive. Anche per noi che la viviamo molte cose sembrano indecifrabili: il suo sistema giudiziario, la sua economia, il suo clima, il comportamento sessuale, famigliare e etico. Te ne vai per un anno e quando torni ciò che era proibito è diventato obbligatorio; ciò che era mal visto passa a essere naturalmente accettato; quello che prima era accettato, ora viene condannato. Un gesto villano può diventare di moda; una moneta non vale quanto valeva prima e una persona si diverte con ciò con cui prima non avrebbe scherzato.
La nostra cultura linguistica si satura di tropologia e la nostra gestualità si rifornisce di una varietà incontentabile d’immagini, degni della grande Pina Bausch in momenti di alta improvvisazione. Battiamo le mani, recitiamo, balliamo e ci muoviamo nella nostra ‘imitazione della vita’, ornata di smorfie e brutte parole.
Gli archetipi di questi anni, le frasi rivoluzionarie, i giri e le espressioni della lingua legate alla musica o alla politica assumono sensi differenti. L’espressione ‘Compagno di partito’, ad esempio, lo personifica ancora nella sua prima accezione, un compagno che milita nel nucleo del PCC (unico partito dell’isola). Ma oggi viene usato anche in modo ironico quando qualcuno fa qualcosa fuori dal normale, di esagerato o imprevisto… può essere un saluto tra amici, un’esclamazione nel bel mezzo di una festa, in un incontro pubblico o privato.
Tutto questo riguarda noi, è una conversazione che comprendiamo appieno soltanto tra cubani. Ma lo percepiscono tutti i cubani, quelli che vivono ancora a Cuba e quelli che non ci sono? I codici cambiano rapidamente.
Estoy obstinado/a oggi viene usato come indice di stanchezza, di noia, di sfinimento quotidiano. Ostinazione, testardaggine, caparbietà, insistenza, nello scenario popolare-conversazionale hanno smesso di essere l’unico significato. Tutto ciò accade nel nostro presente continuo, che sostituisce le frasi, le parole, l’intonazione, le L con le R e modifica la semantica a seconda del contesto, della classe sociale e dei referenti sociali, storici, politici, musicali, estetici, geografici e sensoriali.
Tradurci per il cinema o in letteratura sta diventando quasi impossibile.
Quest’isola deve continuare a essere raccontata, narrata e cantata con la brillantezza, lo spirito e l’acutezza che ci caratterizzano. Il nostro linguaggio e i nostri gesti endemici meritano di essere enunciati con autenticità e luminosità. D’altro canto, rimarremo ancorati eternamente a un discorso nevrotico comprensibile solo a noi e per decadi daremo la rotta, parlando da soli.

Wendy Guerra
(Habáname, 27 dicembre 2013)

Traduzione di Silvia Bertoli