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mercoledì 31 dicembre 2014

Arresto dei dissidenti a Cuba, la condanna degli Stati Uniti


Due settimane dopo il disgelo tra Stati Uniti e Cuba le autorità cubane hanno arrestato diversi dissidenti del governo, tra cui il marito della blogger Yoani Sánchez e l’artista Tania Bruguera

04
ORE FA

Gli Stati Uniti condannano l’arresto dei dissidenti a Cuba



Gli Stati Uniti sono “profondamente preoccupati” per l’arresto di diversi dissidenti a Cuba, tra i quali il marito della blogger Yoani Sánchez, due settimane dopo l’annuncio di una distensione delle relazioni diplomatiche con l’Avana.

“Molte persone sono state portate in prigione, altre sono state poste agli arresti domiciliari”, ha confermato Elizardo Sánchez, portavoce dei dissidenti a Cuba. L’intervento della polizia era stato reso noto ieri da Yoani Sánchez attraverso il suo account Twitter.


“Siamo preoccupati dalle ultime informazioni sugli interrogatori e gli arresti di attivisti della società civile da parte delle autorità cubane”, ha dichiarato il dipartimento di stato in un comunicato stampa. “Condanniamo l’uso ripetuto della detenzione arbitraria degli attivisti con cui vengono messe a tacere le critiche e vengono ostacolate pacifiche assemblee pubbliche per intimidire i cittadini. Chiediamo al governo di Cuba di fermare questa pratica di repressione e rispettare i diritti umani universali dei cittadini”, ha aggiunto. Reuters, Askanews

giovedì 18 dicembre 2014

Cuba-Usa, se Obama cita Josè Martì e riconosce che non solo loro sono americani

da :  http://ilvecchioeilmare.blogspot.it/
di Gennaro Carotenuto





Dopo oltre mezzo secolo di fallimentare politica d’isolamento, come ammette coraggiosamente Barack Obama, le relazioni tra Stati Uniti e Cuba vivono questo 17 dicembre 2014 un nuovo storico inizio. “Per oltre mezzo secolo abbiamo fatto la cosa sbagliata sperando che Cuba collassasse, ma ciò non è accaduto”. Cuba non solo non è collassata ma, come solo gli informatori onesti hanno raccontato, da oltre due lustri ha rotto l’isolamento teso dalla superpotenza del Nord e incrudelito dopo la caduta del muro di Berlino, rendendo quell’embargo inutile e antistorico.
Che piaccia o no, la Rivoluzione cubana è così sopravvissuta non solo al fallimento del socialismo reale ma anche a quello del neoliberismo reale, le atrocità del quale, la fame, la violenza, la dissoluzione di parti fondamentali della convivenza civile date dallo stato sociale, sono state risparmiate in questi decenni al popolo cubano. Il processo che inizia oggi con il ristabilimento delle relazioni diplomatiche, e una lunga serie di misure che comportano una significativa apertura reciproca tra i due paesi, compreso lo scambio di prigionieri che mette fine alla vicenda dei cinque antiterroristi cubani detenuti negli USA, e che prosegue con la battaglia parlamentale per l’eliminazione di un embargo che negli USA è legge dello Stato, è stato reso possibile da una serie di fattori.
Il primo è che la resistenza del popolo cubano in tutti questi anni si è dimostrata essere non ideologica ma rispondente a precise esigenze storiche nazionali. Che piaccia o no, – nonostante in particolare nei primi anni Settanta abbia vissuto periodi opachi – Cuba non è mai stata il gulag tropicale descritto dal modello disinformativo mainstream. In un paese dove circolano liberamente milioni di stranieri non si sopravvive alla crudezza del periodo speciale senza un consenso di massa, che non può essere basato sulla repressione. Questa partita, che doveva concludersi con la capitolazione dell’isola e la sua sottomissione al gigante del Nord, passa invece dal riconoscimento della dignità e della sovranità di Cuba, qualcosa di elementare che da Kennedy a Bush nessun presidente statunitense aveva mai pensato di fare.
Quello che muore definitivamente oggi è dunque l’emendamento Platt, quell’articolo inserito dagli USA nella prima Costituzione dello stato cubano dopo la fine del colonialismo spagnolo, che sanciva che l’indipendenza di Cuba fosse condizionata agli interessi degli USA. Gli USA non hanno riconosciuto le ragioni della Rivoluzione ma oggi si sono dovuti inchinare di fronte alla dignità del popolo cubano che avevano sempre negato in 116 anni di storia. Non dev’essere stato facile per Obama citare José Martí e ammettere che «todos somos americanos» così come Raúl nel chiedere rispetto per Obama comincia a smantellare una parte della retorica rivoluzionaria.
Ciò non significa né la risoluzione dei conflitti tra i due paesi, né il declinare di differenze sostanziali su libertà individuali ed economiche, sulla forma dello Stato e sul concetto di democrazia. In quest’ambito, l’apertura necessaria per Cuba, un paese che continua a vivere in situazione di notevole penuria, è appena all’inizio. Cuba, la Rivoluzione, la società cubana saranno da domani chiamate ad accettare una sfida sulla quale è impossibile fare pronostici: più interscambio economico e culturale, più contatti, più rimesse, più facilità di spostamenti modificano oggettivamente la situazione. Si amplierà un processo che, al di là delle dichiarazioni modificherà nel profondo il modello socialista provando a salvare le conquiste della Rivoluzione. Solo tra qualche anno sarà possibile capire in che direzione e se il saldo sarà positivo. Molti – nei due campi, soprattutto da lontano – possono cominciare a storcere la bocca fin d’ora. Potremmo costruire un dizionario dei termini sui quali cubani e statunitensi non trovano un accordo, da libertà a democrazia a diritti umani. Sapendo che nessuno ha l’esclusiva sulla ragione e sulla verità, da domani potranno finalmente dialogarne.

TODO CAMBIA
Tutto ciò accade in un momento storico nel quale gli USA devono prendere atto che il loro ruolo del mondo e nel Continente è quello di una grande potenza non più onnipotente. Le strutture regionali, da Unasur al Mercosur, hanno oscurato negli ultimi anni la primazia degli USA e il ruolo della OEA. In ogni sede Cuba può contare sull’appoggio di tutti i paesi più importanti della regione, a partire dal Brasile. Prima Hugo Chávez, poi tutti gli altri leader integrazionisti latinoamericani, da Lula a Correa, da Evo a Kirchner a Mujíca, avevano riconosciuto a Fidel Castro e alla Rivoluzione cubana una primogenitura morale che si può ritrovare nella storia delle generazioni che hanno lottato e perduto contro dittature e regimi neoliberali, per vedere riconosciute le loro ragioni solo in questo scorcio di XXI secolo.

Un altro attore diplomatico va citato in questa vicenda. Nel 1998 il viaggio a Cuba di Karol Wojtyla era stato il primo segnale della fine dell’isolamento; Joseph Ratzinger aveva risolto ogni conflitto tra Santa Sede e Cuba; Jorge Bergoglio ha riportato la diplomazia vaticana ad un ruolo centrale nella regione. Paradossalmente la debolezza dell’anatra zoppa Obama ha fatto il resto, rendendo possibile quanto aveva cominciato a preparare già dal 2006 l’ex ministro degli esteri cubano Felipe Pérez Roque, che, forse per il passo eccessivamente veloce, ci rimise la carriera. Per quanto difficile possa essere ora la battaglia parlamentare negli USA per la cancellazione dell’embargo, il cammino appare segnato. Comincia un dialogo difficile ma basato sul riconoscimento dell’altro e della differenza, basato sul rispetto della reciproca sovranità e autodeterminazione. Nostalgici della guerra fredda astenersi.

Wendy Guerra. Senza embargo?




Lo storico 'preambolo' ai funerali di Mandela 
17 Dicembre 2014
Ci siamo svegliati con la notizia che Alan Gross “imprenditore americano” o “nemico della rivoluzione” (a seconda della fonte del comunicato) è stato liberato e si dice che in cambio ci manderanno gli “eroi” o “spie”, (dipende dall’emittente che trasmette la notizia).
All’Avana il popolo commenta che a partire da oggi la politica tra Cuba e gli Stati Uniti cambierà.
Si dice che cambierà il rapporto con “gli yankee” e che poco a poco verrà tolto il blocco (embargo).
Tutto questo sarà vero?
Noi cubani non abbiamo notizie, è solo una voce che da stamattina all’alba si rincorre da un isolato all’altro.
All’angolo, al negozio di alimentari, alla fermata dell’autobus la gente dice che Obama e Raúl terranno un discorso alle 12 per annunciare “qualcosa”. Che cosa annunceranno? Non lo sappiamo.
La metà dei nostri affetti oggi vive negli Stati Uniti. Così vicini e così lontani! Da Miami o New York, da Los Angeles o Chicago, da qualunque città del nord noi cubani riceviamo ogni giorno notizie, medicine e spedizioni famigliari. Nemici intimi, viviamo aspettando il modo di rincontrarci, di riallacciare le nostre vite, di riattaccare la pellicola che per 50 anni e che generazione dopo generazione la politica ha interrotto.
Non ci resta che aspettare. Non ci resta che sperare che, mentre noi dormiamo i due governi si mettano d’accordo.
Una donna come me, nata a Cuba nel 1970 ha trascorso tutta la sua vita, è cresciuta e maturata nell’embargo, ha vissuto e vive bloccata. Morirò nell’embargo? Come sarebbe vivere in una Cuba senza embargo?
Oggi è il 17 dicembre 2014, giorno di San Lázaro, data sacra per molti cubani, noi tutti chiediamo, desideriamo, mormoriamo la possibilità di un cambiamento.


Wendy Guerra
(Habáname, 17 dicembre 2014)
Traduzione di Silvia Bertoli

“Sono un demonio che scrive ciò che sente” 

Yoani Sánchez intervista Wendy Guerra per 14ymedio
11 Dicembre 2014
Intervista di 14ymedio
a cura di Yoani Sánchez


Imbarcazioni che si incrociano nella notte e comunicano al loro passaggio, solo un cenno e una voce distante nell’oscurità, così, nell’oceano della vita ci incrociamo e comunichiamo, solo uno sguardo, una voce e poi l’oscurità e un silenzio.
Henry Wadsworth Longfellow



Tra tre giorni (oggi, per chi legge qui, ndr) compirò 44 anni e tra cinque verrà finalmente presentato all’Avana il film Todos se van, diretto da Sergio Cabrera, basato sul mio primo romanzo omonimo. Nel bel mezzo di tutti questi avvenimenti, Yoani mi scrive per farmi un cortese invito: in un paese in cui nessuno parla di me sulla stampa o in televisione, è lei con il suo giornale14ymedio a decidere di fare il gran passo e chiedere di me da una parte all’altra del Malecón dell’Avana.
Io e Yoani viviamo nella stessa città, ma ci vediamo solo da lontano, e, come imbarcazioni che si incrociano nella notte ci mandiamo segnali di fumo e parole. Strizzatine d’occhio, disegni e un certo mistero di velato silenzio ci avvolgono dal muro di acqua e sale. Invito i miei lettori di Habáname a leggere la sua splendida intervista e a navigare in questa pubblicazione nata all’Avana.
Mille grazie a lei e ai suoi collaboratori per essere stati i primi a intervistarmi nella mia terra.

Qui per leggere l'intervista (di seguito la nostra traduzione, ndr).
Qui per la traduzione italiana













Wendy Guerra
(Habáname, 8 dicembre 2014



giovedì 20 novembre 2014

Quanto male mi fai, L’Avana!

Yoani Sánchez. 


 
17 Novembre 2014

L’Avana è una città di grida e di sussurri. Chi si sofferma nel suo baccano, non riuscirà mai ad ascoltare il
suo bisbiglio.
Questa è una città che affoga le sue pene nell’alcol







Essere dell’Avana non significa essere nati in un luogo, significa portarsi quel luogo sulle spalle, non riuscire a staccarsene. La prima volta in cui mi resi conto di appartenere a questa città, avevo sette anni. Mi trovavo in un piccolo villaggio di Villa Clara e cercavo di raggiungere un frutto di guaiava su un ramo, quando un nugolo di ragazzini del posto circondarono me e mia sorella. “Sono dell’Avana! Sono dell’Avana!”, strillavano. In quel momento non riuscimmo a capire tutta quella confusione, ma con il tempo ci rendemmo conto del triste privilegio che ci era stato concesso. L’essere nate in quest'urbe decaduta, in questa città la cui maggior attrattiva è ciò che poteva essere, non ciò che è.
Sono del tutto urbana, cittadina. Sono cresciuta in una zona del quartiere di Cayo Hueso, dove gli alberi più vicini si trovavano a più di cinquecento metri. Mi sento figlia dell’asfalto, dell’odore di cherosene, degli stendini che gocciolano dai balconi e dei condotti fognari che tracimano di tanto in tanto. Questa non è mai stata una città facile. Nemmeno nelle cartoline per i turisti, con i loro colori ritoccati, si riesce a vedere un’Avana confortevole e comprensibile.
A volte non voglio percorrerla a piedi, perché mi fa male. Risalgo Belascoaín, il mare mi resta alle spalle con quella brezza che conosco così bene. Arrivo all’angolo con calle Reina. C’è una chiesa in stile gotico, che quando ero piccola mi dava l’impressione di perdersi tra le nuvole. Lì vidi per la prima volta un albero di Natale quando avevo diciassette anni. Procedo attraverso i portici, facendo un salto qui e un altro là. Rigagnoli d’acqua scorrono da qualche scala e una signora cerca di vendermi alcune creme di latte che hanno lo stesso colore della strada.
Riesco già a vedere il semaforo di Galiano, ma il passo rallenta perché ci sono molte persone. Un poliziotto gira l’angolo e qualcuno si nasconde dietro le porte o entra nei negozi come per comprare qualcosa. Quando la guardia se ne sarà andata, torneranno a offrire la loro mercanzia in un brontolio. Perché L’Avana è una città di grida e di sussurri. Chi si sofferma nel suo baccano, non riuscirà mai ad ascoltare il suo bisbiglio. Le cose più importanti si dicono sempre con un segno, un gesto o un semplice scatto delle labbra che ti avverte, “attenzione”, “sta arrivando”, “seguimi”. Un linguaggio sviluppato in decenni di clandestinità e illegalità.
Calle Neptuno è vicina. Ho sentito una coppia di anziani dire davanti a una facciata: “Eh, qui non c’era…?”. Ma non sono riuscita a sentire la fine della frase. Meglio così, perché L’Avana è una sequenza di rimpianti, di ricordi. Quando uno la percorre a piedi, è come se transitasse lungo il sentiero delle perdite. Dove viene demolito un edificio, si lasciano le macerie per giorni, per settimane. Poi nel vuoto che è rimasto costruiscono un parcheggio, o sistemano un chiosco metallico per vendere saponi, chincaglierie e rhum. Tanto rhum, perché questa è una città che affoga le sue pene nell’alcol.
Arrivo fino al Malecón. In meno di mezz’ora ho percorso la parte di città che durante l’infanzia mi sembrava la contenesse tutta. Perché ero una “guajiradel Centro Avana”, di quelle che pensano che dopo calle Infanta inizino “le zone verdi”. Con il tempo ho capito che questa capitale è troppo grande per conoscerla. Ho compreso anche che la stessa sensazione di dolore la provano quelli nati a Diez de Octubre, al Cerro, al Vedado o a Mariano. È lo stesso, L’Avana mostra le sue ferite in ogni quartiere.
Tocco il muro che ci separa dal mare. È ruvido e caldo. Dove saranno quei ragazzini che durante la mia infanzia – in un minuscolo villaggio – mi guardavano con stupore perché ero dell’Avana? Vorranno portare questo fardello? Saranno finiti anche loro in questa città, a vivere tra le sue discariche e le sue luci? A loro fa male quanto a me? Sono certa di sì, perché L’Avana non è soltanto quella collocazione scritta nel nostro documento d’identità. Questa città è una croce che ti porti da tutte le parti, un luogo che una volta vissuto non ti abbandona più.

Yoani Sánchez
(da Generación Y, in 14ymedio, 16 novembre 2014)

Traduzione di Silvia Bertoli

Settimana della cultura italiana

Dal 24 novembre al 30 novembre


Programma



CUBA IN PRIMA LINEA CONTRO EBOLA. MA L’EMBARGO USA FRENA GLI AIUTI


L’appello del «New York Times»: stop alle sanzioni, collaboriamo per fermare i contagi



AP
Alcuni operatori sanitari a Freetown, in Sierra Leone

22/10/2014

ENRICO CAPORALE

Oltre 160 tra medici e infermieri inviati in Sierra Leone, circa 300 al lavoro in Liberia e Guinea. Ormai non c’è dubbio: il Paese che sta facendo di più contro Ebola è Cuba. Nelle settimane scorse anche l’Organizzazione mondiale per la sanità (Oms) l’ha confermato, invitando gli altri Paesi a seguire il suo esempio (i medici cubani, d’altronde, sono da sempre in prima linea nelle missioni umanitarie all’estero). Ma gli sforzi dell’isola caraibica sarebbero molto più efficaci se coordinati con gli Stati Uniti, il Paese che sta donando più soldi per arginare l’epidemia (750 milioni di dollari). Il problema? L’embargo imposto all’indomani della Rivoluzione castrista (1959). Le sanzioni Usa impediscono ai medici cubani di avere accesso ad attrezzature moderne e medicinali, aumentando così il rischio contagi.
In un lungo editoriale non firmato (che rappresenta quindi la linea del giornale), il «New York Times» si chiede se l’embargo ha ancora senso e se non rischia invece di frenare gli sforzi internazionali per contrastare il virus in Africa Occidentale (dove i morti hanno superato quota 4500). «Mentre Washington (insieme ad altre nazioni) - scrive il quotidiano - ha stanziato fondi, solo l’Havana ha inviato quello che serve davvero: personale medico qualificato. È una vergogna che i due Paesi non abbiano nessun rapporto diplomatico».
Insomma, un attacco bello e buono. Ma soprattutto un invito all’amministrazione Obama a ristabilire relazioni con Cuba «perché i lati positivi sono più di quelli negativi». Infine, il «New York Times» ricorda che un ipotetico sbarco di Ebola a Cuba potrebbe aumentare le probabilità di una diffusione negli Stati Uniti (già nel 2010 i medici cubani ebbero un ruolo fondamentale ad Haiti nel curare i malati di colera dopo il terremoto, ma alcuni tornarono a casa con il virus e l’Havana dovette affrontare la sua prima epidemia di colera dopo cento anni).
Pochi giorni fa, in un articolo su «Granma», Fidel Castro ha offerto collaborazione agli Stati Uniti nella lotta a Ebola. «La pace per il mondo - ha scritto l’ex presidente cubano - è un obiettivo che si può e si deve perseguire. Coopereremo con piacere con il personale nordamericano in questo compito». La palla ora passa a Obama.

martedì 11 novembre 2014

Cuba: mano aperta, pugno chiuso

Di Raul Rivero da Tellusfolio



10 Novembre 2014
  
Con la generosità prodigata da Dilma Rousseff al governo cubano ora vigilata da una potente opposizione, e nel mezzo della débâcle venezuelana dinnanzi alla caduta dei prezzi del petrolio e l’inclinazione al fallimento di Nicolás Maduro, il regime di Cuba intensifica la ricerca di denaro in altri luoghi per rimanere al potere.
Le figure principali della dittatura, previdenti e prudenti, si trovano da molti mesi, come lì si dice in linguaggio colloquiale, con l’acqua alla gola. E questi messaggi d’aiuto hanno avuto risonanza nell’Unione Europea, in alcuni settori della società nordamericana e in un gruppo di cubani ricchi, pragmatici e dalla pessima memoria.
Le risposte più importanti, sul piano politico quanto economico, sono quelle arrivate dal vecchio continente. L’Europa ha avuto quest’anno due cicli di discussioni con il castrismo per raggiungere un accordo di collaborazione che sostituisse la cosiddetta Posizione Comune assunta dall’Unione Europea su proposta del governo di José María Aznar nel 1996. Rimane un altro incontro che si terrà a dicembre all’Avana.
La realtà è che non c’è bisogno di aspettare che gli europei e gli uomini del socialismo reale firmino un documento di cordialità, amicizia e vicinanza.
Ad aprile, il ministro francese Laurent Fabius è volato a Cuba per animare la primavera dissimulata del Caribe. Anche i suoi colleghi norvegesi e olandesi sono andati a prendere il sole, e a ottobre, Hugo Swire, viceministro degli esteri inglese, ha risposto con entusiasmo all’SOS dei cubani con una visita durante la quale ha affermato, di fronte a un gruppo di isolani presi dai postumi di una sbornia: “Sono qui per dimostrare l’appoggio del Regno Unito rispetto ai cambiamenti economici attuati da Cuba”.
Proprio a ottobre, nove dissidenti sono stati condannati a pene tra i due e i sette anni di carcere e altri 12 sono rimasti in attesa di giudizio disposto dalla polizia. In questo stesso mese ci sono state 413 detenzioni arbitrarie per motivi politici, 13 oppositori sono stati vittime di aggressioni fisiche e gruppi paramilitari hanno preso d’assalto le residenze di otto attivisti dei diritti umani.
Nessuno dei viaggiatori ha guardato la strada dai finestrini delle limousine che li trasportavano dagli hotel di lusso ai saloni in cui avrebbero firmato accordi e abbracciato funzionari del governo.
Il ministro degli esteri spagnolo José Manuel García-Margallo (foto Alerta Digital) si recherà a Cuba questo mese.

Raúl Rivero
(da El Mundo, 6 ottobre 2014
preso in Desde La Habana, 08/11/2014)

Traduzione di Silvia Bertoli

giovedì 6 novembre 2014

Reinaldo Escobar. Da cosa ti sei salvato, Camilo



30 Ottobre 2014
  
Com’è possibile che in tutti questi anni, in cui non è rimasto un solo metro quadro da esplorare, non sia emersa una traccia (…)?


Per la prima e l’ultima volta, lo vidi da lontano per una frazione di secondo il 21 ottobre del 1959, giorno in cui passava da Camagüey per arrestare il comandante Huber Matos. Nessuno capiva nulla, ma la presenza di Camilo in mezzo alla confusione ci faceva sperare che tutto sarebbe andato per il meglio.
I dettagli del momento in cui venne data la notizia della sua scomparsa (una settimana più tardi), li ho cancellati dalla mia memoria, ma non ho scordato l’istante in cui venne annunciata la falsa notizia del suo ritrovamento. La gente in strada tirava fuori bandiere e quadri della Vergine della Carità. La gioia fu breve, ma indimenticabile.
Per molto tempo ebbi la convinzione che sarebbe potuto apparire da un momento all’altro. Negli anni in cui mi credevo poeta scrissi addirittura alcuni brevi versi che descrivevano il suo ritorno. Tutte le volte che volavo tra Camagüey e l’Avana, ogni volta che l’ho fatto, mi sono domandato per quale ragione sarei potuto precipitare in mare… come fa un Cessna, che non prende mai abbastanza quota, a cadere in un altro posto che non sia la piattaforma insulare? Com’è possibile che in tutti questi anni, in cui non è rimasto un solo metro quadro da esplorare, non sia emersa una traccia, una parte del motore, le eliche, che ne so…
Se fosse sopravvissuto a ciò che gli è accaduto e non fosse rimasto coinvolto in un altro incidente simile, Camilo Cienfuegos sarebbe un altro ottuagenario nella cupola del potere. Se non fosse stato destituito, incarcerato o fucilato, oggi porterebbe la responsabilità del disastro nazionale.
Non ci staremmo più chiedendo se fosse più popolare dell’“altro”, piuttosto se fosse altrettanto colpevole.
Proprio ora, mentre scrivo queste righe, gli studenti camminano con dei fiori verso il malecón, anche le persone che lavorano negli uffici escono un po’ prima del solito per andare a portare dei fiori a Camilo. Un rituale ormai privo delle emozioni dei primi anni, quando coloro che raggiungevano le coste per rendergli omaggio lo facevano con le lacrime agli occhi e senza aver bisogno di essere convocati dalla direzione di un centro scolastico o di lavoro.
La morte ha reso eterna ai nostri occhi la sua immagine lieta e popolare. Se c’è qualcosa al di là e ci sta guardando da quel luogo, deve sentirsi felice di essere scomparso in tempo. La morte lo ha salvato dall’ignominia, dalla probabile tentazione della corruzione e dall’umiliazione di essere trattato come un traditore o come un complice.


Reinaldo Escobar
(da Desde aquí, in 14ymedio, 28 ottobre 2014)

Traduzione di Silvia Bertoli

giovedì 2 ottobre 2014

Agricoltura: Italia 2/o partner commerciale Cuba,dopo Spagna


A Roma vice ministro Olivero incontra omologo Céspedes

01 ottobre, 20:50


- Si è tenuto  a Roma l'incontro tra il Vice Ministro dell'Agricoltura della Repubblica di Cuba, signora Moraina Céspedes, accompagnato dall'Ambasciatore di Cuba in Italia, signora Milagros Carina Soto Agüero, e il Vice Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali Andrea Olivero. Lo annuncia, in una nota, il ministero delle Politiche agricole nel precisare che l'incontro è stato incentrato specialmente sulle priorità e le necessità che interessano il settore agroalimentare dei due Paesi.

L'Italia è il secondo partner commerciale di Cuba tra i Paesi dell'Unione Europea, dopo la Spagna, e il settimo esportatore di merci verso Cuba a livello mondiale; la nuova legge sugli investimenti esteri approvata il 30 marzo di quest'anno costituisce un'interessante occasione di rafforzamento delle relazioni bilaterali tra i due Paesi. Il Vice Ministro della Repubblica di Cuba ha indicato le linee guida per il rafforzamento dell'agricoltura tradizionale di qualità per l'autoconsumo che prevede il potenziamento della sostenibilità ed ha espresso apprezzamento per il modello italiano che risulta essere all'avanguardia.



Il Vice Ministro Andrea Olivero ha ricordato che l'Italia è stato il primo Paese occidentale a firmare con Cuba, nel 1993, un Accordo sulla promozione e protezione degli investimenti e ha espresso la disponibilità ad ampliare la cooperazione anche nel quadro delle scelte strategiche operate dal Ministero degli Esteri. La riunione si è conclusa dandosi appuntamento ad Expo Milano 2015, dove l'isola sarà presente con un Padiglione dal nome "Cuba- sulla strada per l'indipendenza alimentare".

giovedì 18 settembre 2014

L'embargo, ma a chi serve?

Da: http://ilvecchioeilmare.blogspot.it/


mercoledì 17 settembre 2014


L'amico Luca Lombroso, sempre interessato a Cuba, mi invia questo articolo di "La Repubblica" che non ha bisogno di molti commenti. Uno di questi è: ma a chi giova? Probabilmente ai politici dell'estrema destra della Florida che intascano succose tangenti, più o meno legali, dai fondi stanziati dal Governo Federale...su loro richiesta. Oppure dai giornalisti e anchorman locali che cavalcano una tigre, sempre più di carta, anch'essi per riempirsi le tasche ed essere sempre più "popolari". 
Dopo quasi 54 anni, questo strumento applicato per far implodere il governo di Fidel Castro non è servito a niente e oggi, sotto la direzione del fratello Raúl, al suo mandato finale, con i tentativi di riforma che sta mettendo in atto, serve ancora meno allo scopo prefisso. Le cifre e i fatti parlano da soli. D'altra parte, la miopia, prepotenza e arroganza dei governi nordamericani, dentro e fuori da "casa non loro", è ampiamente conosciuta e dimostrata.
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L'embargo Usa costa 116 miliardi a Cuba: Onu in pressing per la fine
Il blocco ha dimensioni internazionali perché colpisce anche il commercio cubano con Paesi terzi per dire delle mancate entrate da rum e sigari che non può vendere negli Stati Uniti. Se poi gli statunitensi potessero andare sull'isola, il turismo guadagnerebbe 2 miliardi. Solo Israele resta al fianco di Obama

di ALESSANDRA BADUEL
Centosedici miliardi di dollari persi, di cui quasi quattro solo nell'ultimo anno: eccolo, il prezzo pagato da Cuba per effetto dell'embargo statunitense, reso noto in questi giorni dal vice ministro degli Esteri Abelardo Moreno, che ha ricordato come lo scorso sei settembre l'amministrazione Obama abbia rinnovato di un altro anno quel Proclama 3447 con cui John Fitzgerald Kennedy ampliò le restrizioni commerciali già varate da Eisenhower nel 1960 (poco dopo la rivoluzione castrista) e impose la fine di ogni scambio commerciale, economico e finanziario. Era il 7 febbraio 1962. Obama aveva appena compiuto sette mesi, come ricordava poco tempo fa l'Economist, chiedendo di abolire quella misura ormai appartenente al passato neanche più tanto prossimo di un'America "minacciata dal comunismo".

Niente da fare, "el bloqueo" - come lo chiamano i cubani - continua, e Moreno ha elencato le cifre. Solo fra aprile 2013 e giugno 2014, Cuba ha avuto mancate entrate per 3,9 miliardi in dollari, mentre il conto globale è arrivato esattamente a 116.880 milioni di dollari. Quanto poi al deprezzamento del dollaro dall’ inizio dell'embargo a oggi, secondo i cubani fa sì che quella cifra arrivi a 1,11 trilioni. Come ogni anno dal 1982, Cuba ha preparato l'informativa per accompagnare l'ennesima richiesta di fine dell'embargo alla prossima assemblea generale dell'Onu. Assemblea che per 22 anni consecutivi ha regolarmente approvato, con il voto contrario degli Stati Uniti e sempre meno altri Paesi al loro fianco.
L'anno scorso i sì sono stati 188 e i no due: Usa e Israele.

Come si componga quella cifra, il viceministro Moreno l'ha spiegato ricordando che "el bloqueo" ha dimensioni internazionali, dato che colpisce anche il commercio cubano con Paesi terzi e la possibilità di investimenti esteri nell'isola. Per non dire del fatto che Cuba valuta in 205,8 milioni di dollari le mancate entrate da rum e sigari che non può vendere proprio negli Stati Uniti - e che là arrivano comunque, di contrabbando. Se poi gli statunitensi potessero andare liberamente sull'isola, il turismo guadagnerebbe 2.000 milioni in dollari. L'isola, in più, non può fare alcuna transazione in moneta Usa nel mondo, né stabilire relazioni con aziende in Paesi terzi che hanno capitale statunitense.

Nel riportare la conferenza stampa di Moreno all'Avana, El País spiega come in realtà una parte crescente dei cubani d'America abbia cambiato idea sull'embargo. Come la comunità internazionale, dal crollo dell'Unione Sovietica in poi, ha criticato sempre di più quel blocco. Nel frattempo, però, ha ricordato Moreno, fra 2009 e 2014 l'amministrazione Obama ha multato 37 aziende statunitensi e straniere per averlo violato. E dal 2004 a oggi il totale delle multe, calcolato anche quello, è stato di 11.500 milioni di dollari. Il grosso è fatto degli 8.970 milioni di dollari pagati dalla francese BNP Paribas per Cuba (in una multa che includeva comunque anche rapporti con l'Iran e soprattutto con il Sudan).

Intanto, il mondo va avanti. Il castrismo si orienta pian piano verso il capitalismo, cerca investimenti esteri e li sta anche cominciando a trovare. E se non è certo più da lungo tempo una minaccia per gli Stati Uniti, sta diventando attraente per altri, come Singapore o il Brasile, o l'Unione europea, mentre ci sono uomini d'affari come il magnate dello zucchero Alfonso Fanjul, personalità preminente dei cubani fuggiti in Florida mezzo secolo fa, che da fiero oppositore si è ora trasformato nell'uomo che chiede di investire nell'isola. Come osservava l'Economist in aprile, se anche il Congresso continuasse a non approvare, Obama potrebbe comunque usare la sua autorità diminuendo le restrizioni di viaggio e togliendo Cuba dalla lista degli Stati sponsor del terrorismo. Titolo dell'articolo: "Se non ora, quando?".

luca lombroso

mercoledì 17 settembre 2014

Usciti i primi due numeri di La Nuova Replica, a Miami



Sono usciti e distribuiti, a Miami, i primi due numeri della rivista La Nueva Replica che il direttore ed editore Max Lesnick ha fatto resuscitare dalle ceneri de La Replica e dopo la chiusura dello spazio radiofonico di Radio-Miami.
La rivista contiene articoli molti interessanti per chi vuole conoscere meglio la Cuba di prima e attuale. L’aspetto culturale prevale su quello politico che , naturalmente non è occulto, ma non “pesa” più di tanto nel contenuto.

Per chi non può ottenere l’originale in carta stampata, c’è la versione digitale  che si può trovare al sito www.lanuevareplica.com



lunedì 15 settembre 2014

QUEL SARA' LA PARABOLA DI YOANI SANCEZ

Gordiano Lupi. Piove sul bagnato: Yoani vince una borsa di studio USA
 

11 Settembre 2014
  
Yoani Sánchez vince una borsa di studio presso la prestigiosa Università di Georgetown, un assegno da 60.000 dollari, oltre a spese di viaggio per 5.000 dollari e materiali vari per il lavoro da studentessa. La borsa si chiama “Yahoo! Fellow” ed è dedicata al giornalismo digitale, Internet, tecnologia e comunicazioni. La blogtrotter è molto contenta: “Questa borsa di studio Yahoo a Georgetown è un'opportunità per migliorare la qualità del mio lavoro e per rinforzare il giornalismo indipendente a Cuba”.
Intanto è bene rendere noto al pubblico che 14ymedio, il periodico digitale democratico fondato dalla blogtrotter, non si limita a cancellare i commenti sgraditi, ma blocca definitivamente ogni commentatore che si azzarda a criticare la rivista e le opinioni espresse. È un esperimento che ho fatto in prima persona, aprendo tre identità di commentatori diverse, che sono state bloccate inesorabilmente, una dopo l'altra, solo per aver dissentito da azioni e opere della blogtrotter.

Yoani abbonda in luoghi comuni: “Questa borsa di studio rappresenta un'opportunità per scambiare idee con studenti e
membri della facoltà per ampliare la mia prospettiva del mondo e della stessa Cuba”. Resta il fatto che dovrebbe andare a scuola di democrazia e di pluralismo, ché forse a Cuba ha imparato l'esatto contrario. La blogtrotter lotta contro i Castro e si propone come un nuovo caudillo incontestabile? Intanto, la famiglia Castro la lascia libera di andare a Georgetown a “studiare” e a incassare un bel gruzzolo, da utilizzare “per combattere il regime”. Non è un controsenso?
Bene, un nuovo viaggio comincia, nuove valigie sono pronte, la blogtrotter è già sul piede di guerra, come diceva mio nonno. Partirà ancora una volta per gli USA, si riempirà le tasche di dollari e impartirà qualche lezione su come ha scoperto l'acqua calda. Che Dio ci salvi dai fenomeni da baraccone messi in piedi da questa società globalizzata... torniamo a tradurre Heberto Padilla e Virgilio Piñera.


Gordiano Lupi

martedì 9 settembre 2014

Dove sono i microfoni?

Wendy Guerra
Scrittrice cubana residente in Spagna













08 Settembre 2014
  
Qualcuno arriva a casa tua, ti ha procurato un “tesoro”, “roba forte”, la registrazione di alcuni amici che, con un bicchiere di troppo a una festa come tante, straparlano di te.
Che cosa si prova? Che cosa fai? Come riprenderai la tua vita sociale d’ora in avanti?
Quante volte è capitato di descrivere ad alta voce i difetti dei propri genitori, di fratelli e amici… perfino i propri, confessati tra le lacrime nel letto di un amante o al buio nella stanza di un’amica all’alba sregolata di un sabato.
Ah! Ma sentire questo battaglione di fratelli trovare le parole perfette per fare a pezzi con sarcasmo ciò che sei diventata, ti dà l’impressione che il tuo mondo finisca in quell’istante o, magari, è un bel modo per invitarti a sbattere la porta e fuggire da uno spazio chiuso e asfissiante.
Demoralizzarsi? Cedere? Allontanarsi dal resto? Isolarsi? Ammutolirsi? Sssssssssh!
Perché ce l’avrebbero portato a casa? Con quale scopo vogliono farci il favore di metterci contro i nostri affetti quotidiani?
Come hanno registrato queste voci? Riesci a riconoscere gli accenti, l’ironia è nell’aria, il modo di insistere sulla tua magrezza o sul tuo essere istrionica, le tue paure, i tuoi punti deboli, i tuoi fallimenti personali, ma soprattutto: il tuo passato.
Da dove le ha tirate fuori questo compagno? È un caso che sia arrivato fino a qui con la sua bomba tra le mani? Dovrebbe farci piacere? Sei una cattiva persona? Ti sei comportato così male nella vita da provocare questo? Non ti sei dimostrato abbastanza amico dei tuoi amici?
Non è questo un modo di violare l’individualità di molte persone? Non è un modo di ferire la sacrosanta intimità degli altri? Non si tratta di un decalogo o un diritto violato nella divina, fragile condizione del vissuto dell’uomo?
Quando diavolo ti è importato di ciò che dicono di te?
Questo signore è un amico o un inviato?
No, non ringraziare chi ti fa questo favore. Gli chiedi di uscire immediatamente da casa tua, lo cancelli dalla tua vita, lo respingi per quello che è, un traditore; ma ormai è tardi, hai sentito già tutto.
E il resto dei tuoi amici? E le altre feste insulari? E le autorità? E tu, con te stesso? Dove sei?
Osservi il tuo salotto, frughi nella stanza, cammini nella cucina, analizzi la geografia della tua intimità. Non crederai di poter essere dispensata da questa operazione, vero?
Dove hanno messo i tuoi microfoni? Dove sono?
Nei quadri, nelle decorazioni, nel tuo orologio, nel cellulare, nell’impianto stereo. O… veramente credi che non ti spiino?
Dicono che questo accada in tutti i paesi del mondo e che si tratti di salvaguardare la sicurezza nazionale. Sono affari di stato, alta politica di protezione cittadina.
E io, chi sono? Una donnina esile “scribacchiacose” che non può combattere contro il proprio destino, figuriamoci con la sicurezza o l’integrità nazionale.
Ti registrano le comunicazioni telefoniche e ti archiviano fino a essere certi che tu non sia un pericolo pubblico. Passeranno 30 anni, la tua voce cambierà, perderai i tuoi cari, la finiranno con te. Per che cosa?
Dove è rimasta intrappolata la mia voce l’ultima volta? Che cosa ho detto dei miei? A chi ho fatto del male senza volere con le parole o le azioni pubbliche-private? Sarò o sono stata colpevole di un simile dolore?
Vado al prossimo incontro tra amici, bevo lentamente, ballo affabile tra le braccia di qualche sconosciuto, parlo poco, facendo attenzione alle parole, guardandoli recitare davanti a me come se mi volessero bene, come se le loro parole non avessero mai mutilato il mio corpo e la mia anima.
Ce l’hanno fatta: dividere un altro gruppo di amici, un altro gruppo di intellettuali sciolto, fratelli sparsi di fronte alla delazione, tutto nel nome del niente, quel niente diviso in parti uguali. Disseminato per separare e vincere.
Dove si trovano i microfoni per strapparli una volta per tutte? Dove sono?
Non possiamo saperlo. Me lo può forse dire il compagno che registra le conversazioni telefoniche? Alzo il ricevitore e gli domando: dove avete messo i microfoni?
In realtà il vero microfono, dopo anni passati a parlare sottovoce e a rinunciare a dire ciò che si pensa, il vero dispositivo vive già dentro te.

Wendy Guerra
(Habáname, 5 settembre 2014)

Traduzione di Silvia Bertoli

lunedì 8 settembre 2014

Commemorazione per la morte di Fabio di Celmo

Emilio Tatasciore ha condiviso un aggiornamento di stato sul gruppo Italiani a Cuba.



Solo Cuba a reso onore alla memoria di Fabio Di Celmo.... In tutti i quotidiani italiani....neanche un rigo.....VERGOGNA ITALIA!!
 “Da 17 anni la famiglia Di Celmo si è unita alla storia di Cuba, sommandosi alle 3477 vittime delle azioni di terrorismo e ai più di 2.000 invalidi”, ha dichiarato Haymel Espinosa, presidentessa del Comitato Cubano dei Familiari Vittime del Terrorismo.

 “Questa guerra sferrata dagli Stati Uniti contro la Rivoluzione Cubana, come politica di Stato, è stata storicamente dimostrata ed è pienamente evidente attraverso le molte azioni politiche, militari, economiche, biologiche, diplomatiche, e tante altre realizzate nel nostro paese” ha sottolineato  Haymel Espinosa, assicurando che il popolo cubano non smetterà di denunciare il terrorismo e i crimini come quelli avvenuti  negli hotels Tritón, Chateau Miramar e nel Copacabana nel 1997.



La volontà e lo spirito solidale dei lavoratori dell’Hotel Copacabana, Fernando González, Eroe della Repubblica di Cuba, una rappresentazione del Comitato Cubano dei Familiari delle Vittime del Terrorismo, e altri invitati, si sono uniti per rendere omaggio al giovane italiano Fabio Di Celmo






Granma - Italiano ha aggiunto 4 nuove foto.
Fabio sempre nel ricordo

La volontà e lo spirito solidale dei lavoratori dell’Hotel Copacabana, Fernando González, Eroe della Repubblica di Cuba, una rappresentazione del Comitato Cubano dei Familiari delle Vittime del Terrorismo, e altri invitati, si sono uniti per rendere omaggio al giovane italiano Fabio Di Celmo. 

Oltre le ideologie e le leggi, un atto di grande umanità del governo cubano.




Liberato a  Cuba Giulio Brusadelli - Cronaca

Era stato arrestato il 3 marzo scorso a Cuba perché trovato in possesso di 3,5 grammi di marijuana e condannato a 4 anni di carcere per "traffico" di stupefacenti (ANSA)

ansa.it

venerdì 5 settembre 2014

"Canzone del giullare" di Heberto Padilla


Poesia pubblicata nella sezione apposita di http://cubareale.webnode.it/

Vista l'attuale situazione geopolitica mondiale penso sia il caso di renderla pubblica anche qui sul blog.


05 Settembre 2014




General, dein Tank ist ein
Starker Wagon
Brecht











Generale, c’è un conflitto
tra i suoi ordini e le mie canzoni.
Persiste a ogni ora:
notte, giorno.
Non conosce la stanchezza né il sonno.
Un conflitto che dura da molti anni,
tanti, che i miei occhi non hanno mai visto un’alba
senza di loro, i suoi ordini, le sue armi, la sua trincea.
Un conflitto fastoso
nel quale, esteticamente parlando, si equivalgono
i miei stracci e la sua divisa.
Un conflitto teatrale.
Mancherebbe solo un brillante scenario
dove i commedianti potessero arrivare da ogni parte
facendo molto rumore come nelle fiere
esibendo ognuno la sua lealtà e il suo coraggio.
Generale, io non posso distruggere le sue flotte e i suoi carri
né so quanto tempo durerà questa guerra;
ma ogni notte qualcuno dei suoi ordini muore
senza venir compiuto
mentre resta invincibile qualcuna delle mie canzoni.

Da El hombre junto al mar (1981) - inedito in Italia

Traduzione di Gordiano Lupi

mercoledì 3 settembre 2014

Giulio Brusadelli, i genitori disperati: "Rinchiuso in un ospedale psichiatrico a Cuba per 3 spinelli, nostro figlio sta morendo"






"Giulio si trova in uno stato depressivo profondissimo, non ci riconosce, non mangia e non vuole curarsi. Se non torna in Italia rischia di morire". Al telefono da Santiago de Cuba la voce di Paolo e Patrizia Brusadelli arriva a tratti, all'interno dell'ospedale psichiatrico "Juan Bruno Zayas" dove è ricoverato il figlio c'è poca copertura.

I genitori di Giulio Brusadelli hanno lasciato Roma in fretta e furia mercoledì sera per raggiungere il figlio trentaquattrenne, detenuto fino a pochi giorni fa nel carcere Aguadores di Santiago perché lo scorso 3 marzo la polizia lo ha trovato con 3,5 grammi di marijuana in tasca, l'equivalente di 3-4 spinelli. La coppia ha scritto una accorata lettera al senatore Luigi Manconi che l'HuffPost ha pubblicato.

I periti del tribunale dell'isola hanno riconosciuto che Giulio soffre di una sindrome bipolare maniaco-depressiva dall'età di 16 anni e in quanto tossicodipendente risulta incompatibile con la vita dietro le sbarre. Per questo la pm aveva chiesto dai 3 ai 5 anni di libertà vigilata. E invece il 22 luglio scorso il giudice di Santiago lo ha condannato a 4 anni di detenzione per traffico di droga - accusa smentita dai testimoni chiamati al processo - da scontare soltanto dopo un periodo di disintossicazione in un apposito centro.

Soltanto che il ragazzo nella struttura per tossicodipendenti non è mai entrato. È rimasto all'Aguadores fino a qualche giorno fa, quando ha compiuto un gesto inconsulto ("avevamo paura che succedesse, ed è successo", dicono i genitori) e per questo è stato trasferito d'urgenza nella clinica specializzata in malattie mentali, piantonato da due agenti.

"Un amico di Giulio ci ha chiamati all'inizio di questa settimana, preoccupato per il suo stato di salute. Ma non immaginavamo che non ci avrebbe riconosciuto", spiega la mamma Patrizia. "Rifiuta il cibo, rifiuta le cure, pesa ormai 50 chili: come possiamo tornare in Italia senza portarlo con noi?", si dispera papà Paolo. Prima che la situazione volgesse al peggio la famiglia di Brusadelli aveva presentato l'appello contro la sentenza presso la Corte suprema dell'Avana, e contemporaneamente ha compilato una istanza per chiedere il trasferimento del figlio dal carcere al centro di disintossicazione.

La soluzione ottimale, per la quale lavora alacremente la Farnesina, è il rimpatrio di Giulio. Una ipotesi che potrebbe prevedere la possibilità di scontare la pena in Italia. Con questi obiettivi, proprio qualche giorno fa il sottosegretario agli Esteri Mario Giro ha inviato una lettera al suo omologo cubano.

Ma ormai la questione diventa urgente. "Abbiamo paura che nostro figlio voglia lasciarsi morire. La sindrome bipolare nella sua fase depressiva è molto pericolosa e siamo terrorizzati", ammette Paolo Brusadelli mentre Patrizia è rientrata nella stanza per rimanere accanto al ragazzo. Si danno il cambio per riuscire a telefonare, nel primo pomeriggio Giulio ha accettato di mangiare un pacchetto di wafer dalle mani della madre: "La dottoressa che lo segue dice chiaramente che le medicine non basterebbero, può guarire soltanto se torna in un ambito famigliare, non possiamo immaginare di lasciarlo solo in questo posto".


Per Manconi, che segue la vicenda da qualche mese e rimane in stretto contatto con la famiglia, si tratta di un "caso umanitario che sta meritando la massima attenzione delle autorità italiane". Ora che la situazione è precipitata, il principale auspicio di Paolo e Patrizia è che Giulio riprenda le normali cure psichiatriche che con alti e bassi lo hanno accompagnato anche durante il suo lungo soggiorno a Cuba, dove aveva deciso di trasferirsi qualche anno fa dopo una vacanza. Qui il ragazzo aveva mantenuto la sua abitudine alla marijuana. "Fuma spinelli perché pensa che possano curare la sua malattia soprattutto nei momenti di maggiore euforia", spiega Patrizia. "Se solo potesse tornare a casa riusciremmo a salvargli la vita".

Cuba, il regime impone tasse su capi di abbigliamento e televisori dei viaggiatori


Il governo dell'Avana prova ad arginare l'importazione illegale di prodotti dall'estero. Tasse sui bagagli di oltre 25 kg. Limitazioni anche sul numero dei pantaloni in valigia




La stampa sudamericana la definisce "una delle misure più restrittive degli ultimi anni del regime".



Da oggi portare a Cuba valigie di grosse dimensioni contenenti troppi indumenti, o, peggio ancora, televisori o apparecchi elettronici, significherà sottoporsi a tasse molto salate. Su alcuni articoli, poi, scattano restrizioni specifiche: chi entra nel regno dei Castro non potrà portare con sé più di dieci pantaloni da donna e altrettanti da uomo. Le nuove misure sono entrate in vigore oggi, e secondo il governo sono semplicemente un mezzo di contrasto al commercio di capi abusivi provenienti dall'estero, una misura quindi di forte sostegno all'economia nazionale. Tra i cubani invece c'è molto malcontento, perché le severe restrizioni penalizzeranno molto le famiglie, a cui sarà impedito di portare regali a casa, soprattutto elettrodomestici e apparecchi hi-tech. Sul quotidiano filogovernativo Granma è stato aperto addirittura un dibattito in cui anche la Dogana ha spiegato le ragioni della nuova legge: il dispositivo "vuole impedire che alcune persone - ha chiarito la vice segretaria, Idalmis Rosales - utilizzino i margini dell'importazione non commerciale non stabiliti fino ad ora al fine di introdurre nel Paese un grande volume di merci destinate al commercio e al lucro".

L'intervento si è reso necessario, ha spiegato il governo in questi giorni in cui la polemica è arrivata addirittura sulla stampa ufficiale, perché negli ultimi tempi sono proliferati a Cuba negozi che vendono capi di abbigliamento e oggetti importati in modo illegale dall'estero. Ma una valigia più pesante per i cubani spesso non equivale a darsi al commercio.

Per le famiglie, portare nel bagaglio qualche oggetto in più acquistato nei rari viaggi fuori dai confini nazionali significava rifornire amici e parenti di beni anche di prima necessità tutt'ora introvabili a Cuba. Dal quartiere generale dell'esecutivo precisano che in realtà le nuove misure limiteranno semplicemente il numero dei capi che si potranno trasportare. Secondo le disposizioni in vigore da oggi, il bagaglio sarà esente da tasse fino a un massimo di 25 chili di peso. Ogni viaggiatore potrà introdurre nel Paese bagaglio fino a cento chili ma con imposte fino ai mille pesos. Portare a Cuba un televisore da 32 pollici comporterà una tassa tra i 150 e i 250 pesos. Durante il primo viaggio verrà applicata la Cup, la moneta debole, il peso "dei cubani", e dunque le imposte saranno molto basse. Al secondo viaggio però i 150 pesos diventeranno Cuc, la moneta forte (Cuba ha una doppia moneta) ossia equivalenti a 150 dollari.


Ancora: se prima si potevano portare con sé fino a 40 pantaloni da uomo e altrettanti da donna, ora questo numero è ridotto a dieci. Il governo ha già iniziato a distribuire nei giorni scorsi opuscoli per spiegare l'impatto minimo delle nuove misure sui cittadini. Ma la nuova tassa targata Castro continua ad essere moto sgradita.

giovedì 28 agosto 2014

Wendy Guerra. Fotografia d’estate

Da tellusfolio





16 Agosto 2014

È arrivato luglio, e con esso, la trasparenza dell’estate, la luce di Cuba riproduce con nitidezza tutte le immagini che ho custodito in silenzio.
Il colore del calore, il sole che ondeggia sul paesaggio fino a deformarlo nella sua calura, fino a che poi l’ombrello del cielo si rompe infradiciandoci in piena strada… ed ecco il plotone di ragazzi, a navigare su chivichanas d’argento, a far mulinelli con le ciabatte nel fiume del marciapiede… eccitati ancora una volta dal primo temporale di luglio e dalla Conga di un Carnevale perso nella memoria. Anche se non ci sei, il mio corpo rammenta il sapore del mango sulla tua bocca che assaggia il tropico acerbo, iodato e dolciastro, all’imbrunire lo scontro con un arcobaleno salmastro che a furia di spintoni ti fa uscire dal mare, perché i lampi e la bocca tagliuzzata, le dita rattrappite, i tremiti, la fame e la sete annunciano che sta scendendo la notte; a casa ti stanno aspettando o no… ma è tardi… bisogna uscire dall’acqua. È la luce eterna dell’estate la responsabile di questa vivida confusione di eternità che vive nel mio corpo.
Io ero la bambina dei brutti voti, dei ripassi, degli straordinari e dei sussulti per arrivare “a stento” a essere promossa in questi stessi primi giorni di luglio.
Poi quei celebri sorteggi di giocattoli (básico, no básico y dirigido) e in seguito il congedo dagli amici che si sparpagliavano per tutta l’isola a trascorrere le vacanze con la famiglia dispersa all’interno o nella capitale.
Gli stessi giocattoli, il caso di quella apparente lotteria fortuita, dividevano i bambini in classi e caste sociali. Quei figli di ministri o segretari, militari, funzionari o agenti segreti, che si stabilivano per tutto l’anno a Varadero, e perfino alcuni privilegiati figli di re socialisti (?) che uscivano da Cuba in vacanza per tornare a raccontarci come era il mondo fuori a 9 anni. Con quale permesso, quale denaro? Non lo seppi mai.
Al rientro da queste estati sì che smettevamo di essere uguali. Nel bel mezzo di tutte le crisi cubane spuntavano gli zainetti colorati, le biciclette dorate, i jeans, le calcolatrici moderne, le penne e i pastelli a cera, le gomme da cancellare profumate alla frutta, i cestini della merenda con prosciutto e bibite doppie e persino le fantastiche avventure di oltremare iniziavano, poco a poco, a dividerci per classe e importanza sociale. Allo stesso tempo i nostri leader e i cartelloni pubblicitari che li raffiguravano insistevano nel dire che qui TUTTI eravamo UGUALI.
Queste menzogne e questi atteggiamenti duri riempirono di un odio controllato e silenzioso diverse generazioni aperte alla lotta. Costrette a segmentarsi. Atti di ripudio, morti, separazioni, scontri, fucilazioni, annegamenti, urla, rabbia e insulti coprirono di piaghe le nostre storie personali. Ad alcuni non fu permesso tornare, ad altri non fu permesso partire.
Il mondo intero è stato testimone del nostro spettacolo internazionale di odio cubano, e dalle loro differenti tribune, siamo stati identificati come gli eterni fratelli-nemici.
Durante la mia infanzia “essere diverso” era un marchio, desiderare che i tuoi figli vivessero un’altra realtà un tradimento alla patria. Chi determinava nella nostra infanzia il concetto di patria? Era o è TUTTA la patria uno stesso governo? Patria è qualcosa in più.
La fine della scuola (a luglio) rappresentava anche la fine degli affetti, perché a settembre forse quel (la) nostro (a) amichetto (a) sarebbe stato (a) iscritto (a) a un’altra scuola al di fuori delle acque territoriali… e noi ci perdevamo 20 o 30 anni delle nostre vite. In quegli anni, a causa di un decreto muto ma ben noto, non era possibile avere alcun contatto con loro, quelli che oggi chiamiamo gusanos, perché la loro ideologia disertrice avrebbe potuto contagiarti e portarti dalla parte del NEMICO. Ci fecero credere che stavamo resistendo in un luogo assediato e che qualunque passo o movimento al di fuori da esso avrebbe potuto condannare un popolo intero. Un atto di affetto si trasformava in un atto di morte collettiva. Così siamo stati cresciuti, formati, educati o istruiti.
I nostri compromessi ci hanno trasformato in una generazione che odia i compromessi. Siamo stanchi di legami imposti. Più di ogni cosa perché questo compromesso non lo abbiamo stabilito noi, ma i nostri genitori e i nostri nonni.
Quella Cuba di giocattoli ci si è disciolta davanti agli occhi, luglio dopo luglio chi ha avuto l’opportunità di partire definitivamente ci ha abbandonato, e lontano da qui i nostri coetanei hanno ricostruito le loro vite, le loro famiglie, i loro destini.
In questa foto due bambini (di sangue cubano) nati fuori dall’isola si donano un po’ d’amore. Il loro essere cubano viaggia nell’universo sentimentale che li ha uniti, un nido estetico, filiale, sensoriale, genetico che li ha fatti rincontrare… il loro legame non è un ostacolo, è un attributo referenziale, un punto di partenza. Questa bambina con i bigodini ignora (per fortuna) che (per alcuni), durante la mia infanzia, poteva essere vista come un nemico.
Loro lo ignorano, perché nonostante tutto il dolore, il tempo cancella i rancori e i malintesi. Questo bambino che la bacia teneramente infonde candore, è l’espressione di Pace e Amore di cui tanto abbiamo bisogno da quella prima estate della mia vita. Non c’è miglior cura di questo bacio.
Oggi ricevo con emozione la foto scattata da Luis Soler, in cui il suo figlioletto bacia una sua amichetta, e vedo chiaramente che l’odio e la separazione sono l’antonimo che riunisce questa nuova generazione di piccoli cubani che anziché addio e arrivederci possono dire sto qui con te, per sempre uniti nelle nostre differenze; si baciano, si vogliono, si ritrovano per placare insieme le piogge che un giorno separarono me da Luis.
Questa è per me la fotografia di questa estate 2014. Questi sono, lo so, gli anni decisivi per la fine dell’odio.

Wendy Guerra
(Habáname, 1° luglio 2014)

Traduzione di Silvia Bertoli