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L’umorismo come esorcismo
YOANI SANCHEZ
Ero appoggiata al finestrino e facevo attenzione. Il vetro
mostrava una vistosa incrinatura e a ogni scossone sembrava che dovesse cadere
a pezzi. Per alcuni minuti, lungo il viale percorso dal taxi collettivo, mi ero
imposta un esercizio di aritmetica: contare per strada tutte le persone che
sorridevano. Nel primo tratto, tra avenida Rancho Boyeros e il cinema
Maravillas, non ho visto nessuno. Una signora mostrava i denti non per allegria
ma per colpa del sole, che le disegnava una smorfia composta da occhi socchiusi
e labbra aperte. Un adolescente in uniforme da liceale gridava all’indirizzo di
un collega. Non ho potuto sentire a causa del rumore del motore, ma le sue
parole non contenevano alcuna battuta umoristica. All’altezza di Piazza Cuatro
Caminos una coppietta ferma a un crocevia si baciava con passione, ma neppure
in questo caso si notavano atteggiamenti giocosi. Tutt’altro. Era un bacio
carnivoro, vorace, rapace. Un bebè in carrozzina sembrava sul punto di
sorridere… ma era soltanto uno sbadiglio. Arrivati al Parque de la Fraternidad avevo
potuto contare solo tre risate, incluso quella di un poliziotto che si burlava
del giovane che aveva ammanettato e fatto salire sulla camionetta.
Ho fatto questo esperimento in diverse occasioni, per
verificare se siamo davvero quel popolo sorridente di cui parlano tanti stereotipi.
Nella maggior parte dei casi, il numero di coloro che esprimono un certo grado
di allegria non ha superato le cinque persone in un tragitto che varia tra i 4
e i 10 chilometri .
Certo, questo non prova niente, ma è vero che nelle circostanze quotidiane le
risate non sono così abbondanti come vogliono farci credere. In ogni caso
restiamo un popolo dotato di molto senso dell’umorismo. Ma l’ilarità è una
scialuppa di salvataggio che ci riscatta dal naufragio della depressione più
che una caratteristica del nostro carattere. Ridiamo per non piangere, per non
picchiare, per non uccidere. Ridiamo per dimenticare, fuggire, tacere. Per
questo, quando assistiamo a uno spettacolo comico capace di far vibrare tutte
le corde dolorose del nostro umorismo, è come se si aprissero le valvole di
scarico e tutta la calzada 10 de Octubre cominciasse a ridere, inclusi gli
edifici, i lampioni e i semafori.
Venerdì scorso è successo qualcosa di simile durante lo
spettacolo “De doime son los cantantes” che l’attore Osvaldo Doimeadios ci ha
regalato nella sala del Karl Marx. L’umorista ha reso omaggio al nostro miglior
teatro vernacolare esibendosi in magistrali interpretazioni e monologhi. Le
penurie economiche, la riforma migratoria, gli eccessivi controlli sul lavoro
privato, gli episodi di scandalosa corruzione collegati al cavo di fibra ottica
sono stati alcuni tra gli argomenti che hanno strappato il maggior numero di
risate. Ridiamo dei nostri problemi e delle nostre miserie, ridiamo di noi
stessi. Finita la distrazione, il pubblico si è accalcato nei caldi corridoi
per guadagnare l’uscita. Fuori, la calle Primera era affollata nonostante fosse
notte. Ho preso un autobus per tornare a casa e mi sono affacciata al
finestrino… nessuno sorrideva. L’umorismo era rimasto nelle poltrone e sul
palcoscenico, eravamo tornati alla sobria realtà.
Gordiano Lupi