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martedì 30 aprile 2013

L'età di un lider


ALEJANDRO ARMENGOL. L’ETÀ E IL LEADER

http://cubareale.webnode.it/
 

27 aprile 2013
traduzione/adattamento e riduzione a cura di Yordan Fuentes De Arnaiz della redazione di Nuovacuba

 Alejandro Armengol. CUBAENCUENTRO



Nel raccontare il suo tour dell’Unione Sovietica e dei paesi socialisti nel 1957, García Márquez ha scritto: “Non aveva età. Quando morì, aveva più di settanta anni, aveva la testa bianca e cominciavano a rivelarsi i sintomi del suo esaurimento fisico. Nella fantasia del popolo Stalin, tuttavia aveva l’età dei suoi ritratti. Loro avevano imposto una presenza senza tempo, anche nei villaggi remoti della tundra “*. Fidel Castro ha perso questo privilegio.
Negli ultimi anni i cubani hanno assistito a una situazione anomala: manifesti e murales continuano a mostrare un’immagine potente di un leader che per decenni li aveva guidati, mentre occasionalmente compaiono foto e video di un vecchio debole e vacillante, che per restare in piedi ha sempre bisogno del supporto di un giovane assistente – più un sostegno che una guardia del corpo.
Nel tentativo di ottenere il cibo quotidiano, rimane poco tempo per fermarsi a pensare per un momento al contrasto tra quella figura deteriorata e il fratello minore – una differenza di pochi anni ha fatto una differenza enorme – il quale è riuscito a invecchiare in modo lento e sembrare di essere in condizioni fisiche e mentali ottime. La malattia ha fatto a Fidel Castro una delle peggiori manovre che avrebbe potuto immaginare: non l’ha ucciso, semplicemente si è intrattenuta nel distruggerlo abbastanza da farlo diventare un residuo di un’altra epoca.
Se il leader è riuscito a superarsi abbastanza per non nascondersi completamente dalla vista del pubblico, è per la sua dipendenza dalla vita e per un residuo di vanità che lo costringe a ricordarci ogni tanto che è ancora vivo. In parte a causa di un interesse a preservare l’illusione rimane la guida di un sistema che ogni giorno trascorso assomiglia di meno a quello che era. In parte, per un aggrapparsi non solo al passato, ma al presente: esiste, non tutto è perduto. Il resto è l’attesa inevitabile della morte.
È vero che quest’attesa è anche una sua piccola vittoria. Ogni volta che qualcuno muore intorno a lui (l’ultimo è stato Alfredo Guevara**), si pone la domanda o il lamento per la sua permanenza.
Questa permanenza, tuttavia, si definisce di più da quei manifesti – danneggiati in molte occasioni e a volte restaurati – dove prevale il ricordo. Se la sua definizione maggiore rimane intatta, quell’aggrapparsi al potere che l’ha caratterizzato per decenni, è viva grazie al fratello. Senza di lui, il quale molte volte relegò da un lato e altre disprezzò, ma mai abbastanza per rimuoverlo dal suo fianco, non sarebbe più che un oggetto di studio, di repulsione o ammirazione.

Raul Castro è diventato il potere che preserva il regime introdotto il primo di gennaio, e quindi  è custode del suo vecchio fratello.
Questa dicotomia schizofrenica, comunque, tra l’onnipotente capo che era Fidel Castro, e il vecchio il cui più grande successo di quest’anno è stato l’aperta una scuola, non nasconde una realtà: l’unico vero atto resta da scontare, da osservare in tutto la mondo è la famosa notizia mille volte annunciata. Un funerale in pompa magna: una rivoluzione già morta, che alla fine sarà definita in una cerimonia funebre. Il cerchio si chiude, dall’ideologia allo spettacolo.
Decostruire Castro
Da qualche tempo Fidel Castro si sta decostruendo. Negli ultimi anni abbiamo visto – con rassegnazione o entusiasmo – a questo processo in cui una figura leggendaria si fu gradualmente spogliando dal mito, un eterno guerrigliero diventato un nonno familiare, quasi indifeso, un uomo politico abile perso in frasi quasi incoerenti. Ma attenzione, nulla di ciò che fa questa figura che per tanti anni ha causato paure, speranze e odi è spontaneo o libero. Nemmeno adesso, quando siamo testimoni del suo declino.



Castro non si è ritirato, ma è stato lasciato fuori. Egli sa che il suo parere conta ancora e che non si può negare la sua influenza, ma gli anni hanno dimostrato che la sua partenza in un primo momento non significherà una catastrofe per il mantenimento della classe dirigente, bensì la fine di un’era. Un finale più per nostalgia che per la conservazione, per ora, del governo che ha istituito e che sopravviverà. Sarà così se non muore prima il vero sostegno del sistema, suo fratello.

Siamo stati spettatori o complici di quest’uscita di scena, che può durare ancora per un certo tempo o improvvisamente essere interrotta.
Da anni egli lo sa, e ha preso una decisione al riguardo. Tra il potere e la vita ha deciso per la seconda. Ha scelto di resistere e si è aggrappato a essa, al prezzo di sacrificare tutto o quasi tutto.
Per un po’ è tornato alle sue origini, non mediante il ricordo, ma attraverso la narrazione del ricordo. Quell’Alessandro, che ha inseguito con un nome ripetuto in documenti e nei figli, finché ha assunto il non essere niente di più di questo: un nome, appena un ideale, ma mai un modello, mai uno stile di vita. Morire giovane non è mai entrato nei suoi piani. Nemmeno abbandonare completamente il potere, anche se ha solo le forze per l’inaugurazione mediocre di una scuola insignificante in un comune.
Così la storia va bene per il ricordo giornaliero, in un giornale in cui la cronaca quotidiana è un travisamento o una menzogna, mentre non si abbandona lo spazio dedicato a quello che era.
Fidel Castro è stato in grado di adattarsi a qualsiasi circostanza. Se il prezzo è troppo alto, non occorre pagarlo. Alessandro Magno va bene per i libri di storia. Che ci crediate o no, la sua capacità in questo senso è molto limitata. La vita vale ancora la pena, nonostante l’umiliazione della malattia, l’oltraggio dell’età e le delusioni del corpo. C’è solo bisogno di adattarsi alle circostanze, adattarsi ai tempi, per salvare ciò che può ancora essere salvato.
Quello che vale la pena di essere salvato si riassume in aspetti molto specifici. Prima, la continuità del processo. Salvarla non per una fede assurda nel futuro ma per un’utilità pratica. Contribuire a questa continuità è stato il suo compito principale da quando si è ammalato: dimostrare che lui è vivo e che è ancora lì.

Per un certo periodo si è rifuggiato nella scrittura, nell’idea che la sua presenza era necessaria per far sì che tutto rimanesse uguale o per quello che cambiasse non influisse sulla permanenza del suo mandato delegato al fratello. Un mandato che poteva prescindere dall’interferire in tutti gli aspetti della vita quotidiana dei cubani, ma che ancora non riusciva a rinunciare alla sua presenza. Il suo ultimo atto pubblico di reale importanza è stato la sua partecipazione a quest’ultimo periodo dell’Assemblea Nazionale del Potere Popolare. Dove all’apparenza è stata decisa la successione al di là della sua famiglia e dei suoi più stretti seguaci. Gli “storici” che sono stati anche gradualmente messi da parte, tranne che i principali comandanti militari che rimangono il pilastro dell’attuale stabilità.
Il secondo è stato un processo di simboli, d’immagini che sono state sfruttate appieno per decine di anni. La popolazione è stata preparata per accettare questo nuovo ruolo: da guerrigliero a vecchio saggio, da statista a consigliere, da invulnerabile a fragile. C’è voluto un po’, e questo è ciò che è stato sapientemente costruito dal regime dell’Avana: senza soprassalti, ma senza svegliare chi sogna a occhi aperti. I continui riferimenti all’età, circa i troppi sforzi fisici di una volta, che in modo inesorabile ora ha dovuto scontare chi sembrava invincibile. Rimanendo, tuttavia, un sopravvissuto come ai vecchi tempi della guerriglia. Ma soprattutto, si è imposto il non dare luogo alla possibilità della sconfitta. Non è un destino stoico, un’uscita eroica o una immolazione. Come simbolo di devozione per l’ideale rivoluzionario basta il Che. Non importa se sono i suoi resti o meno quelli sepolti in Santa Clara. Basta che nell’isola ci sia il tesoro della sua immagine. Tutto il resto è secondario.
(…)
Mai un nemico teoricamente debole ha vinto così tanto con così poco. È stato in grado di intrattenere annoiando. Quando venne a sapere che quel lavoro non era più necessario, si è fermato. Non ha mai avuto una vera vocazione di scrittore.
Dopo la sua malattia e guarigione, la battaglia ha cambiato direzione: non era d’idee, ma d’immagini.
Giocare l’asso del passato ha definito per molti anni l’unica strategia visibile dell’esilio. Da questo punto di vista, s’intende l’incapacità di capire cosa sta succedendo a Cuba. Il famoso slogan “No Castro, no problem”, ha dimostrato di essere molto più di un adesivo appariscente di mettere sulla propria auto.
La vera questione, allora, alla quale quotidianamente si sfuggiva a Miami, era semplice: com’è possibile che ancora quella figura fragile garantisca la permanenza di un regime? La risposta difficile inizia con il riconoscere, che qualcosa di più di un leader in declino ha avuto un ruolo nella sopravvivenza di un sistema. La cosa importante non è solamente risolvere questa questione ma ancora di più importante è un’altra: E adesso? Nell’esilio, dove era davvero poco quello che si poteva fare, ma peggio ancora ci si nascondeva dietro questa scusa per non fare nulla, tutto si limitava a commentari d’occasione, senza provare almeno la possibilità di una risposta diversa, una nuova strategia.
Ora la realtà è che Miami e Cuba, sono entrate in una fase in cui la geografia, più che la politica comincia a definire lo scenario, un terreno diffuso in cui i nuovi immigrati che arrivano ogni giorno lavorano per poter il più rapidamente possibile tornare all’isola e mantenere chi  vi è rimasto. Non si tratta di essere contro i viaggi e le rimesse, ma di riconoscere una situazione imposta dall’Avana.
Nel frattempo, i cubani si sono abituati anche a questa dualità d’immagini che sono il riflesso di una transizione pianificata dalla Piazza della Rivoluzione: guerrigliero eroico nei manifesti e un vecchio da applaudire e venerare due o tre volte l’anno. Non importano molto apparizioni o manifesti: entrambi hanno servito al loro scopo.

* García Márquez, G., “90 días en la Cortina de Hierro. IX. En el Mausoleo de la plaza Roja Stalin duerme sin remordimientos”, Cromos, 2, 206, 21 Septiembre 1959
** Alfredo Guevara intellettuale cubano filo governativo morto di recente ultra ottantenne.


società rarefatta



I comedores obreros sono mense messe a servizio dei lavoratori in tutta l’Isola, e di solito forniscono colazione, pranzo e cena ai lavoratori a prezzi davvero modici in moneta nazionale.


La loro storia ha seguito l’evoluzione della Stato Cubano. Sono ancora comuni i racconti dei pasti serviti nei comedores nel mezzo del Periodo Especial a base di acqua zuccherata e riso, senza mai vedere legumi, verdure, e Dio ce ne scampi, carne!

Oggi la situazione è diversa perché l’economia si è rafforzata dagli anni ’90, e alla cifra di 50 centesimi di peso cubano (qualcosa come un paio di centesimi di euro), i lavoratori cubani possono permettersi di mangiare in una specie di ristorante un pasto completo che comprende primo, secondo, dolce e acqua.



È geniale, direte voi! Probabilmente sì, l’idea sarebbe geniale, se non fosse inattuabile. Come tutte le cose promosse dalla Rivoluzione Socialista cubana, anche gli utopici Comedores Obreros non funzionano perché inefficienti e insostenibili, e perché regalare cibo in uno Stato che fa la fame sortisce l’unico effetto di aumentare corruzione e mercato illegale.


Prendiamo ad esempio il mio Comedor, quello del Granma, che è una dei migliori in tutto il Paese perché si tratta della mensa dell’organo di stampa ufficiale del Comitato Centrale del Partito Comunista, ente che detiene tutto il potere politico dell’Isola.

La mensa del Granma serve colazione, pranzo e cena. Ma come tutti gli altri lavoratori dell’Isola, anche quelli che lavorano nella mensa guadagnano non più di 400 Pesos in Moneta Nazionale, e la loro unica fonte di sopravvivenza è quella del “desvio de los recursos”, parole che sono nella bocca di chiunque, e che non vogliono dire altro se non rubare dal lavoro per rivendere i prodotti nel mercato nero.



Così, la cuoca della mensa e l’addetta alle razioni della colazione non avranno nessun interesse a servire un bicchiere di latte ai lavoratori che vanno in mensa sperando di fare colazione (e che si devono portare il bicchiere da casa), perché preferiscono tenerselo e rivenderlo nel loro quartiere a 40 pesos alla bottiglia, e tenersi per sé il ricavato. Il momento della colazione diventa semplicemente una farsa durante la quale il lavoratore esige il suo bicchiere di latte e si sente rispondere ogni giorno una scusa diversa che giustifica la mancata ripartizione del prezioso prodotto. Una mattina il lattaio non è arrivato, Un’altra le mucche erano malate, e quella dopo il latte è stato richiesto da altri comedores che ne avevano più bisogno. Il lavoratore e l’addetta sanno perfettamente che sono scuse, ma nessuno dice nulla perché il furto è anti-Rivoluzionario solamente se si scopre e non se si fa. A parte questo, anche se i cuochi e l’addetta alle vendite venissero rimpiazzati da qualcun altro, la pratica del desvio è talmente condivisa che anche i prossimi assunti la praticherebbero esattamente nello stesso modo!




Il caso del pranzo e della cena, invece, sono diversi! Il discorso del desvio vale sempre, ma ad esso si aggiunge la vendita di cibo avanzato. Infatti i comedores vendono il cibo che i lavoratori avanzano nel piatto ad allevatori che lo usano per il bestiame. Perciò lo scopo dei cuochi è quello di cucinare in modo da evitare che le persone mangino. Meno i lavoratori mangiano, e più cibo possono vendere. Chiaramente, i cuochi cercano di dissimulare quello che fanno aumentando di poco in poco il livello di immangiabilità di quello che fanno, mentre ai lavoratori, che purtroppo non possono permettersi nient’altro al di fuori del comedor, non resta altra scelta che adattarsi di volta in volta a quello che i cuochi cucinano. Se non fosse così tragica, l’immagine che esseri umani e maiali si stanno disputando lo stesso cibo, e che uomini sono disposti a mangiare cose che andrebbero bene a degli animali, sarebbe ironica.

I lavoratori non se la prendono con i cuochi, perché se fossero al posto loro farebbero la stessa cosa. Tutti guadagnano una miseria, e nessuno pensa due volte al fatto di poter prendere soldi extra. Così, nella zuppa di fagioli o soya regolarmente servita nel Granma, i cuochi mettono lo zucchero invece del sale e il riso, dal quale a Cuba normalmente è necessario togliere i chicchi marci e la sporcizia lo cucinano sporco, perché sperano così che i lavoratori non mangino. Ma i lavoratori mangiano…mangiano eccome, perché non hanno altra scelta, come in un girone dell’inferno dantesco senza fine, una costante corsa al ribasso a discapito di tutta la società.

All’inizio, appena arrivata a Cuba, mi arrabbiavo con le persone che secondo me erano ladre punto e basta e che si stavano arricchendo alle spalle non del Governo, ma di altre persone, poveracce anche loro. E probabilmente è così. Ma il furto è rimasto l’unica risorsa compresa e condivisa, e la società è talmente rarefatta e disgregata che anche lo schiacciare i più deboli e vulnerabili è giusto in nome del proprio benessere. L’unica legge giusta è quella della giungla, dove chi può sopravvive al meglio delle sue possibilità, e chi non può, perisce. Un sistema del genere non si sarebbe propagato e diffuso se la società non fosse ridotta in condizioni di fame e disperazione. Se è un responsabile che vogliamo trovare, dobbiamo cercare chi queste condizioni le ha volute ed imposte.


mercoledì 24 aprile 2013


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Attendendo Yoani






Di Gordiano Lupi  "Ser cultos para ser libres"  http://blog.edizionianordest.com/2013/04/attendendo-yoani.html

Conosco virtualmente Yoani Sánchez circa cinque anni fa, grazie a una mia amica cubana, Andria Medina, che vive in Italia e quando scrive come blogger si fa chiamare Gaviota. Un giorno mi passa un link di un sito sconosciuto: Generación Y e mi invita a leggere un post intitolato Le due Avana, scritto da una certa Yoani Sánchez. Scocca subito la scintilla, perché mi rendo conto di trovarmi di fronte una cubana coraggiosa, per niente apatica e conformista, che dice le stesse cose che ho sempre pensato durante i miei viaggi e le lunghe permanenze a Cuba. In un primo momento mi sembra impossibile che a scrivere su quel blog sia davvero una cubana. Nutro il ragionevole dubbio che ci sia qualcosa sotto, un nickname, un’agente governativo, un trucco del castrismo. Potenza della propaganda! Non riesco ad accettare che a Cuba qualcuno abbia il coraggio di raccontare la vita quotidiana del presunto paradiso tropicale (dal quale tutti vogliono scappare!), rifuggendo da vieti luoghi comuni. Nonostante tutto comincio tradurla, con passione, per un sito Internet italiano: www.tellusfolio.it, una rivista telematica della Valtellina, trascurando i miei piccoli libri, dedicandomi anima e corpo a quei racconti che mi ricordano da vicino la mia Cuba, soprattutto L’Avana povera che conosco troppo bene, una città che non profuma di Chanel numero 5 e di formaggio parmigiano, ma di fogna e disperazione. Proprio per questo mi è cara. E lotto per lei, perché le cose un giorno possano cambiare. Mi dico che tradurre Yoani Sánchez e altri autori della comunità blogger, come Orlando Luis Pardo Lazo, ma anche Heberto Padilla, Virgilio Piñera, Felix Luis Viera, Guillermo Cabrera Infante, è il solo modo possibile per fare la mia parte nella costruzione di una Cuba libera. Yoani Sánchez un giorno mi scrive una lettera, con semplicità, per chiedermi di collaborare traducendo il blog, curando la versione italiana. Per me è un sogno che si avvera e che Mario Calabresi rende ancora più concreto, chiamandomi a gestire il blog sul sito Internet de La Stampa. Contribuire a diffondere il vero volto di Cuba è il compito che mi sono prefissato e che continuo a fare con la collaborazione del mio amico Massimo Campaniello, ideatore della rivista digitale Nuova Cuba (http://nuovacuba.wordpress.com/).
E adesso sono qui, in attesa di conoscere Yoani, dopo quasi sei anni che collaboro con lei en la distancia, condividendo le sue idee parola dopo parola, traducendola ogni giorno, al punto da essere in grado di sapere come risponderebbe a una domanda insidiosa. Non avrei la sua diplomazia, questo è certo. Neppure il suo carisma. A ognuno il suo ruolo, come dicevano i latini. Yoani viene letta regolarmente in tutto il mondo, mentre a Cuba il suo sito risulta oscurato. E poi anche se non lo fosse sarebbe impossibile per i cubani seguire i suoi post, perché la connessione domestica non è consentita, a meno che non si faccia parte dell’apparato - vedi Silvio Rodriguez - e un’ora di connessione da un Internet Point costa 10 dollari. Una somma ingente per un cubano. In ogni caso il gruppo dei blogger diffonde il suo pensiero tramite CD, chiavette USB, pagine stampate. Yoani è sempre più conosciuta, anche per merito della stampa e della televisione cubana che la cita in senso negativo per definirla mercenaria.
In Italia mi onoro di aver contribuito non poco a farla conoscere anche grazie a La Stampa di Mario Calabresi, sensibile sin da subito nei confronti di una voce libera. È impossibile tornare da Cuba e non conservare un senso di profonda tristezza e di delusione di fronte alla scoperta di quel che poteva essere e non è stato. A Cuba c’è un capitalismo di Stato che mantiene l’economia saldamente nelle sue mani e al popolo toccano le briciole. Il doppio sistema monetario mette in ginocchio la popolazione che vive in abitazioni cadenti, fatica a mettere insieme il pranzo con la cena, deve scegliere tra il mangiare e il vestire decentemente. Il solo modo di sopravvivere è il furto nei confronti dello Stato, il mercato nero e il sottobosco illecito legato al turismo (prostituzione, vendita prodotti contraffatti, affitti di case illegali, taxi in nero…).
Yoani lo sa e lo scrive ogni giorno, per ricordare al mondo che le cose non stanno come dice la propaganda. Non è sola nella sua lotta. Ho conosciuto José Conrado, parroco di Santiago, uno dei firmatari della lettera al Congresso statunitense dove si chiede una limitazione dell’embargo e la sua progressiva scomparsa, ma anche riduzione delle limitazioni di viaggio verso Cuba per i cittadini nordamericani. Pure Yoani Sánchez e Reinaldo Escobar sono tra i firmatari, perché sono consapevoli che la fine dell’embargo voglia dire fine delle scuse per il governo cubano e dimostrazione di una totale inefficienza. L’embargo non toglie ossigeno al potere ma lo toglie al popolo, quindi è giusto che finisca, perché sarebbe la prima mossa per favorire il cambiamento. L’intervento della Chiesa Cattolica è importante perché può favorire il cambiamento di Cuba in senso democratico e verso il rispetto dei diritti umani. Ci sono altri giovani in gamba che lottano, come Eliecer Avila, Rosa Maria Payá, Guillermo Fariñas, Berta Soler, accanto a dissidenti storici come Elizardo Sanchez. Ma su tutti c’è lei: Yoani Sánchez, la nostra Godot, che attendiamo con ansia nella sua prima visita italiana.
Tra tutte le cose che faccio per promuovere in Italia la conoscenza del processo di cambiamento cubano, credo che “Yoani Sánchez - In attesa della primavera” rappresenti uno strumento importante per conoscere gli ultimi sei anni della storia cubana, attraverso la vita di un blog come Generación Y, che ha contribuito a cambiarla. Non si possono rinchiudere le idee in una galera, come ha già detto qualcuno. E Yoani ne è la dimostrazione vivente.

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ALEJANDRO ARMENGOL. L’ETERNITÀ DEL CAMBIAMENTO



23 aprile 2013
traduzione/adattamento e riduzione a cura di Yordan Fuentes De Arnaiz della redazione di Nuovacuba

 Alejandro Armengol. CUBAENCUENTRO

Il problema fondamentale che affronta il governo cubano, con la necessità di attuare riforme per alleviare la difficile situazione del paese, è la risposta a questa domanda: può permettersi l’attività privata, anche solo su scala ridotta, senza compromettere il socialismo?
La risposta marxista-leninista a questa domanda è negativa: la piccola proprietà commerciale genera il capitalismo, costantemente e senza fermarsi.
Una risposta troppo semplice, soprattutto a proposito della situazione attuale del paese, dal momento che non possono essere evitate altre due domande. La prima è se c’è davvero il socialismo nell’isola e la seconda ha un’urgenza crescente: cosa possiamo fare per fermare questa crisi perenne, con la minaccia latente di uno sconvolgimento sociale?
Da diversi anni persistono a Cuba due modelli economici: un basato sui mezzi di produzione dello stato e il secondo che si fonda sulla proprietà privata. Parlare di socialismo ha i suoi limiti, soprattutto in senso economico. Non si può risolvere il problema con un’affermazione drastica: dire che sull’isola non c’è socialismo, se mai è esistito, e che quello che c’è è semplicemente un capitalismo di Stato, o più semplicemente un regime totalitario mercantilista o addirittura una sorta di sultanato caraibico.
Se un’argomentazione di questo tipo può essere appropriata per alcuni aspetti del dibattito politico, se si tiene conto dei modelli di produzione, delle forme di distribuzione di beni e servizi, del lavoro e dei processi di vendita all’ingrosso e al dettaglio, per citarne solo alcuni aspetti – occorre riconoscere che esiste nel paese una enorme struttura economica socialista stagnante e inutile. Che sopravvive perché esercita una sorta di fagocitosi su altro nucleo di affari, che obbedisce alle leggi del capitalismo selvaggio, e perché attua dei meccanismi di rendite e anche parassitari, sostenuti da ricavi provenienti da alleati e da presunti contrari o ex nemici: i sussidi “chavisti” e le rimesse degli esuli.
Con una fortuna relativa, il regime dell’Avana è riuscito a tenere separate le due sfere produttive, grazie ad una strategia volta a ridurre sia la sfera della produzione privata nazionale, sia a concentrare gli investimenti stranieri – e le joint venture con capitali privati ​​(esteri ) – in un numero limitato di aziende.
Questa soluzione, tuttavia, ha portato all’indebolimento sociale ed economico di controllo del governo.
Quando si parla della situazione attuale dell’isola, dobbiamo riconoscere che nel paese i cambiamenti hanno avuto luogo. Tutti questi però non sono stati guidati dal governo. Alcuni sono stati spontanei ma consentiti, molti si sono sviluppati come risposta a diverse pressioni.
Un altro è quello di consentire, dentro certi modelli, la formulazione di critiche e pareri a favore, per l’appunto, delle “riforme”.
Il terzo e non meno importante, è il tentativo limitato di restringere ancora la sfera burocratica nazionale.
In quest’ultimo si trova una contraddizione fondamentale. Cuba la sta affrontando e per la medesima è passata l’ex Unione Sovietica e i paesi dell’Europa orientale, prima che sparisse in loro socialismo.
Mentre il settore privato cresce in modo “spontaneo” e al di là del previsto quando si permette la minor riforma, la burocrazia che è anche risultato spontaneo e naturale dell’economia socialista aumenta nonostante gli sforzi per ridurla.
In pratica sono due modelli di sopravvivenza che concorrono. Le economie socialiste classiche, pre-riformiste combinano la proprietà statale con un coordinamento burocratico, mentre le economie capitaliste classiche combinano la proprietà privata con il coordinamento del mercato.
Uno degli aspetti negativi della miscela di entrambi i sistemi nella stessa nazione, è l’aumento dello spreco delle risorse.
Mentre il settore privato vive costantemente minacciato in un sistema socialista, trae beneficio da un relativo aumento dei redditi. Questo perché può facilmente soddisfare le esigenze che non sono coperte dal settore statale.
Tuttavia, questi artigiani e ristoratori non hanno alcun interesse nel dedicarsi ai loro clienti e nemmeno nell’accumulare ricchezze e nel dare loro un uso produttivo.
Poiché l’esistenza prolungata delle aziende è piuttosto incerta, la maggioranza usa il loro reddito per un miglioramento del loro tenore di vita attraverso il consumo eccessivo.
Quest’atteggiamento non differisce da quello del burocrate, che sa che i privilegi e l’accesso a beni e servizi scarsi dipendono dal suo incarico.
Questo problema affronta l’attuale governo cubano, nel tentativo di ricercare una maggiore efficienza nell’economia nazionale: come incoraggiare e allo stesso tempo limitare il settore formato dai lavoratori autonomi, proprietari terrieri e i possessori d’imprese familiari come i “paladares*”?
Sia il limitato settore privato, sia il settore statale di grandi dimensioni, sono nelle mani di persone che cospirano contro l’efficienza per ragioni di sopravvivenza.
La fragilità del “socialismo di mercato” è che il settore privato, anche se è in parte regolato dal mercato, in uguale o maggior misura ubbidisce al controllo burocratico.
Questo controllo burocratico esegue molte delle sue decisioni in conformità a fattori extraeconomici: in primo luogo politici e ideologici. La contraddizione diventa stagnante.
Una parziale soluzione a questo dilemma potrebbe essere quella di aumentare il ruolo del mercato, e dare più spazio alla sfera economica privata, legalmente e lasciando la strada aperta alla concorrenza e l’iniziativa individuale. Solo che di conseguenza, il successo nel mercato varrebbe di più che la burocrazia, e moltiplicherebbe la perdita del potere statale. 
Questo è quello che alcuni sull’isola temono e altri bramano.
Al ritmo in cui il presidente Raul Castro sta guidando i cambiamenti, necessiterebbe vivere cento anni per realizzare una trasformazione a Cuba, e in quel caso limitata soltanto al miglioramento del tenore di vita dei cittadini. Eppure, questa riforma sarebbe racchiusa entro i parametri indicati dalla necessità intrinseca al regime di mantenere la ristrettezza e la corruzione, come forme di controllo. Sono proprio la repressione, la scarsità e la corruzione, i tre pilastri che sostengono il governo cubano.
Mentre il regime dell’Avana continua a richiedere un atteggiamento di accettazione assoluta e incondizionata, il che non è altro che aprire la porta a opportunisti di ogni genere, si aggrappa a un concetto medievale di tempo: confondere il presente con l’eternità.
Ci sono due atteggiamenti che sembrano determinare il comportamento dei responsabili del governo nell’isola. Il primo è un desiderio sfrenato di guadagnare tempo per rimanere al potere per quel che gli rimane da vivere. È in quest’atteggiamento anche il suo inverso: sopravvivere alla morte naturale di Fidel Castro e di suo fratello. E da quel momento stabilire partenariati di ogni genere – che non escludono la parte della comunità nell’esilio – e di partecipare all’interno della nuova élite al potere.

L’altro atteggiamento sembra essere il riflesso di una grande paura di muovere la minima cosa, per paura che traballi tutto intorno. Una specie di effetto farfalla insulare.
Il generale Raul Castro sembra di essere interessato a conseguire una maggiore efficienza per l’economia. Sia il settore privato limitato come quello grande dell’economia dello stato, tuttavia sono in mano a persone che cospirano contro questa efficienza, per ragioni di sopravvivenza.
Più e più volte hanno chiesto ai cubani “lavoro” e “pazienza”. Lavorare di più è stato sempre uno scherzo condiviso, una specie di beffa tra i fratelli Castro e il popolo dell’isola. La pazienza, però, è qualcosa di più serio. Fa parte dell’eternità imposta in una data: primo gennaio 1959. Essi, i Castro, quelli di allora, sono sempre gli stessi.

VARGAS LLOSA ELOGIA LA BLOGGER YOANI SÁNCHEZ



23 aprile 2013
MADRID, 23 aprile 2013 - Lo scrittore peruviano Mario Vargas Llosa, lunedì scorso, presso la Casa delle Americhe di Madrid, ha definito la blogger cubana Yoani Sánchez come “la persona che più di ogni altra in America Latina incarna l’amore per la libertà”. L’evento organizzato dall’Associazione Iberoamericana per la Libertà, chiamato “Una conversazione in libertà”, è servito a a Yoani per raccontare il suo quotidiano, cercando di spiegare come riesce a collegarsi al mondo grazie alle reti sociali.

“Sono diventata specialista Internet, senza avere Internet”, ha detto la Sánchez, che ha ideato nel 2007 il blog “Generación Y”, e che riesce a trasmettere informazioni su Twitter tramite messaggi di testo del suo telefono mobile.

“Cuba è stata un paese capace di inventare il macinato di carne senza carne. Non potevamo non trovare il modo di inviare messaggi di testo su Twitter senza Internet”,  ha aggiunto l’attivista. “Sono una persona che parla e dialoga per conquistare libertà interiore e collettiva”, ha detto.

Yoani Sánchez, emozionata per la presenza di Vargas Llosa, ha avuto parole di apprezzamento per lo scrittore peruviano.

“Vent’anni fa volevo leggere La guerra del fin del mundo. Alcuni amici mi dissero che Reinaldo Escobar, il mio attuale marito, lo possedeva. Grazie a quel libro ho conosciuto l’amore della mia vita”, ha raccontato.

Yoani ha avuto parole di elogio per i compatrioti residenti in Spagna: “Grazie per aver conservato Cuba anche all’estero”. Ha aggiunto che non si sente una persona speciale, ma soltanto una donna che si nutre di piccole cose, di ricordi e di progetti per il futuro. ”Mi vedo tra quarant’anni in un parco insieme a un nipotino che fa molte domande. Voglio avere risposte soddisfacenti da dare”, ha precisato. ”Le mie speranze per il futuro non sono riposte nei riformisti del governo cubano, ma credo che il destino dell’Isola deriverà da una serie di elementi”.


Gordiano Lupi

martedì 23 aprile 2013

INTERVISTA A YOANI SÁNCHEZ – RISPOSTE AGLI INTERNAUTI


22 aprile 2013
Redazione de El País, 19 aprile 2013


Puoi dirci la tua opinione sulla sinistra europea, dai partiti socialisti alla sinistra antisistema. Dove ti posizioni ideologicamente?

In realtà mi considero una persona trasversale, postmoderna, non amo definirmi con le classiche schematizzazioni politiche. Nonostante tutto, credo che in generale la sinistra europea sia stata troppo complice del totalitarismo cubano. In alcuni casi per miopia, per il desiderio di credere che l’utopia aveva trionfato nella nostra isola caraibica, in altri per semplice antimperialismo, del tipo più manicheo.

Come vedi una risoluzione del possibile conflitto tra le due Cuba, quella di Miami e quella vera e propria dell’Isola?

Dopo aver trascorso alcuni giorni a Miami, sono ancora più convinta che la soluzione dei grandi problemi nazionali dovrà passare necessariamente dal lavoro congiunto di queste “due Cuba”, come tu le chiami. Non dobbiamo più chiamarci cubani dell’Isola e cubani di fuori, siamo cubani e basta. Gli esiliati cubani giocheranno un ruolo importante nella transizione: abbiamo bisogno delle loro conoscenze imprenditoriali e democratiche. Abbiamo bisogno di quella parte di Cuba che loro hanno conservato vivendo lontani.

Hai fatto molti viaggi in diversi paesi. Come paragoni i diversi sistemi politici?

Continuo a pensare che a Cuba viviamo in un capitalismo di Stato, guidati da un clan familiare che non ci lascia neppure il diritto di protestare. Il governo è padrone di quasi tutti i mezzi di produzione e da questa proprietà guadagna un elevato plusvalore. In atri paesi ho visto molte ingiustizie, ma nonostante tutto – a differenza della nostra nazione – in molti di quei posti si ha la sensazione che in futuro le cose potranno migliorare, speranza che noi cubani abbiamo perduto da tempo.

Se davvero il cittadino cubano è pronto per il cambiamento, è consapevole di quel che comporta?  Perché una cosa è quel che pensiamo, un’altra è la dura realtà.



In realtà non siamo preparati al cambiamento. Ma nessuno è preparato al nuovo. Forse le madri sono preparate a partorire un bambino, curarlo e allevarlo ogni giorno, svegliandosi di buon mattino? Si apprende a essere madre soltanto dopo aver messo al mondo un figlio. A essere liberi, s’impara con la libertà. 

Che importanza hanno le reti sociali sullo scenario politico e sociale di molti paesi? Come credi che si svilupperà la situazione in Venezuela? Che consiglio daresti ai milioni di venezuelani che chiedono un cambiamento?

Non credo che soltanto la tecnologia ci renderà liberi, ma penso che le reti sociali e i nuovi strumenti tecnologici aiuteranno a costruire società più democratiche, pluraliste e partecipative. Nel mio caso, i blog, Twitter, Facebook e i telefoni mobili sono stati un percorso di allenamento civico. Raccomando ai venezuelani di non farsi rinchiudere in una prigione. Io che vivo in una gabbia insulare, posso assicurare che è molto più importante il rischio di volare liberi che la modesta dose di miglio che ci concedono dopo aver chiuso le sbarre.

Puoi dirci chi finanzia il tuo viaggio in così tanti paesi?

Certamente. Ho risposto a questa domanda un’infinità di volte durante questo viaggio. Sono andata in Brasile con un biglietto comprato grazie a una colletta fatta via Internet, in maniera pubblica e trasparente. Chiunque avrebbe potuto contribuire in forma civica e spontanea. Nella Repubblica Ceca sono stata invitata dal Festival di Cinema One World, che ha coperto ogni spesa, come è normale in questo tipo di eventi. In Messico sono stata invitata dall’Università Iberoamericana, a New York dal Baruch College, in Olanda da Amnesty International… a Miami da mia sorella esiliata che ha messo da parte il denaro per invitarmi, in Perù da alcuni amici che ho conosciuto all’Avana quando facevo la guida della città. Infine sono arrivata in Spagna su invito dell’Editorial Anaya, per la quale ho pubblicato un libro, de El País, periodico dove scrivo con frequenza, e di molti amici che mi leggono e che mi sostengono. Non mi è mai mancato né un tetto né qualcosa da mangiare. La mia vera ricchezza sono gli amici! Ma non si deve sapere…

Se a Cuba c’è tanta repressione, manca la libertà di espressione e si imprigionano i dissidenti, perché tu sei libera e puoi criticare così duramente il regime?

Sono contenta di rispondere a questa domanda. A Cuba c’è una forte repressione, io stessa sono stata vittima di molte forme di repressione: botte, arresti arbitrari, diffamazione senza diritto di replica, divieto di uscire dal mio paese in venti occasioni, minacce alla mia famiglia e vigilanza costante. Il fatto che sia uscita dal mio paese non è una concessione magnanima di Raúl Castro, ma una mia piccola vittoria dopo aver lottato a lungo contro le imposizioni governative. 

A Cuba buttano fuori di casa i cittadini con la forza e li lasciano per strada come accade da noi?

Sì, accade anche a Cuba. Basta leggere le denunce di sfratto che ci sono in rete e che non hanno mai avuto risposta.  Non solo, molti cubani vengono dichiarati residenti illegali all’Avana e subito deportati a Oriente. “Mal comune mezzo gaudio” (in cubano è più esplicito: male di molti consolazione per gli sciocchi, ndt), si potrebbe dire, ma il fatto che voi abbiate gravi problemi non può farci tacere i nostri.

Pensa ancora che Gabriel García Márquez non meritasse il Nobel?

Quando avrei mai detto una cosa simile? Prima di fare una domanda come questa, per favore, citi la fonte delle mie presunte asserzioni. Non si lasci confondere dalle campagne di diffamazione… Ammiro la letteratura di Gabo e sono una gran lettrice della sua opera, nessuno come lui ha meritato il Nobel. Conservo gelosamente la mia copia, letta un’infinità di volte, di Cent’anni di solitudine.

Non crede che se a Cuba si vivesse così male il popolo si sarebbe ribellato? Non mi risponda dicendo che c’è la repressione, c’era anche sotto Franco, ma la gente scendeva per strada a protestare.

La paura è la sola spiegazione della mancata ribellione. I cubani esprimono il loro disaccordo emigrando… verifichi le cifre di quanti se ne sono andati.

Tornerai al tuo paese dopo aver visto come si vive fuori?

Tornerò, perché per me “la vita non è in un altro luogo ma in un’altra Cuba” e voglio aiutare a costruire dall’interno la Cuba che desidero.

Considera il sistema  neoliberale che si è imposto in gran parte del mondo un’alternativa adeguata per sostituire il sistema vigente a Cuba?

Il sistema attuale cubano è già profondamente neoliberale… ci pagano in una moneta che non basta neppure per sopravvivere, il solo sindacato legale è nelle mani dell’unico governo consentito, non esiste diritto di sciopero, i licenziamenti abbondano… conosce un sistema più liberale?

Crede davvero che la maggioranza della popolazione cubana desideri un cambiamento verso un sistema capitalista? Quale crede che sia il modello migliore per l’isola?

Ho detto spesso che Cuba vive da molto tempo in un sistema capitalistico. Dobbiamo smettere di credere alla propaganda del “socialismo” cubano, un sistema che maschera il peggiore dei capitalismi. Credo che la gran maggioranza dei cubani voglia vivere in un sistema che garantisca più partecipazione e meno proibizioni.

Alcuni anni fa sono stata a Cuba e sentivo molte persone dire che avrebbero voluto un modello di transizione democratica alla spagnola. In realtà la nostra non è stata così perfetta… Come crede che sarà la transizione cubana?

Abbiamo il vantaggio di poter imparare dagli errori altrui, visto che abbiamo impiegato così tanto tempo per arrivare al cambiamento. Inoltre abbiamo l’opportunità di cominciare da zero. Dobbiamo definire per tempo una buona legge sui partiti e un finanziamento trasparente per garantire la politica della Cuba futura. Nessuna transizione è uguale a un’altra. Troveremo il nostro cammino… senza copiare nessuno, spero.  

Lei condanna l’imposizione di sanzioni economiche degli Stati Uniti nei confronti di Cuba?

Ho espresso la mia posizione persino davanti al senato degli Stati Uniti, quindi con la sua domanda piove sul bagnato. Ritengo che l’embargo nordamericano sia il pretesto più grande che in questo momento possiede il governo cubano per giustificare il degrado economico e la mancanza di libertà. Credo che debba finire quando prima.  

Cosa ne pensa della base navale di Guantánamo occupata dagli Stati Uniti? Non dovrebbe tornare di proprietà cubana?

La Base Navale di Guantánamo un giorno tornerà a essere proprietà dei cubani, ma OCCHIO… dei cubani… non dell’attuale governo di Cuba. Sono due cose diverse. Quando saremo un paese democratico, rispettoso del pluralismo, molto probabilmente questo argomento diventerà prioritario.

Yoani, lotti con coraggio per la libertà. Prima del 1959, a Cuba le disuguaglianze erano notevoli. Adesso non tutto è perfetto. Ci sono i privilegiati del sistema, è vero. Ma anche gli altri cubani godono di un sistema sanitario e di un sistema educativo, possiedono una casa – anche se cadente – e mangiano ogni giorno. In tutta l’America Latina ci sono condizioni di miseria, molti non hanno neppure la millesima parte di quel che possiedono i cubani. Come dovrà essere lo sviluppo economico di Cuba per evitare di fare quella fine?

In realtà da molto tempo non è vero che a Cuba non esistono differenze sociali.  La Cuba attuale si divide tra coloro che hanno accesso alla moneta convertibile (dollari mascherati) e gli altri che devono vivere solo con il salario (pagato in pesos cubani). Si tratta di una Cuba dura, brutale, con grandi sacche di povertà. Il problema principale è che “Robin Hood” sa togliere le ricchezze ai ricchi per distribuirle ai poveri, ma non sa creare ricchezze… quando queste finiscono… alla fine tutti restiamo poveri.

Yoani, lei è diventata una dissidente perché l’ha voluto o perché la dittatura castrista con la sua persecuzione l’ha resa famosa? Si sarebbe mai immaginata di arrivare a questo punto?

Ogni uomo dipende dalle circostanze. Fidel Castro sarebbe stato lo stesso uomo se non fosse esistito Batista? Non credo… Inoltre non mi considero una dissidente, qualifica importante che meritano più di me altri attivisti cubani, ma una cronista della realtà. Il problema è che a Cuba la realtà è profondamente dissidente. La realtà nella nostra Isola è la negazione costante della retorica ufficiale.

Ha mai pensato di realizzare un reportage sulle condizioni di vita delle piccole realtà dell’interno di Cuba – luoghi dove l’oscurantismo politico ed economico sono più aggressivi – per stigmatizzare le differenze sociali che esistono rispetto all’Avana?

Lo faccio costantemente. Mi reco spesso nelle piccole cittadine dell’interno di Cuba per impartire corsi, per insegnare ad attivisti politici come si usa Twitter grazie a un telefono mobile non collegato a Internet. La mia piccola soddisfazione è che adesso in molte di quelle realtà periferiche c’è gente che racconta quel che accade usando 140 caratteri, grazie ai miei corsi. Il mio motto è: “raccontati a te stesso”.

Cosa pensi della reazione di Henrique Capriles e dei suoi dubbi sulla regolarità delle elezioni in Venezuela? Credi che Maduro accetterà un risultato diverso dopo aver contato di nuovo i voti?

La richiesta di contare di nuovo i voti è stata molto giusta. Non credo che Nicolás Maduro accetterà un risultato sfavorevole, ma non c’è peggior battaglia di quella che non si combatte. 

Come pensi che sia possibile evitare le disuguaglianze sociali ed economiche in un sistema parlamentare? Nei sistemi democratici, infatti, il divario tra ricchi e poveri cresce sempre di più…

A Cuba le differenze sociali sono abissali. Per esempio tra un gerarca in verde oliva e un cittadino comune c’è un abisso grande quanto tra un re e un semplice operaio, forse anche di più. La casta che governa Cuba ha potere di vita e di morte, decide sull’educazione dei nostri figli, sul medico che deve visitarci, sulla nostra libertà di movimento… Il sistema parlamentare, nel nostro caso, servirà a ridurre certe differenze, farà in modo tale che una “casta di eletti” non possieda un potere così grande su ogni dettaglio della nostra vita quotidiana.

Come le sembra il giornalismo che si produce fuori da Cuba? È proprio come se lo attendeva?

Mi è sembrato un giornalismo con luci e ombre, moderno, in crisi, ma ogni crisi produce un parto. Ogni crisi implica una rinascita. Purtroppo, all’interno di Cuba, quel che si produce in ambito ufficiale non si può neppure chiamare giornalismo. Inoltre, i miei colleghi giornalisti indipendenti, blogger e giornalisti civici corrono molti rischi per ogni parola che scrivono, per ogni denuncia che fanno. Spero che un giorno non lontano i cubani potranno fare giornalismo senza rischiare di perdere la libertà e di essere linciati  dai media ufficiali.



Traduzione di Gordiano Lupi
http://www.infol.it/lupi


Yoani Sánchez. Venezuela divisa a metà



22 Aprile 2013

Quando si occultano le notizie o si trasmettono sistematicamente in maniera distorta, può capitare che un semplice evento metta allo scoperto una così prolungata manipolazione informativa. È proprio quel che è accaduto con le elezioni venezuelane e il modo in cui sono state riportate a Cuba dalla stampa ufficiale. Scomparso Hugo Chávez e cominciata la campagna presidenziale, tanto la televisione quanto la carta stampata dell’Isola si sono arrogati il compito di dimostrare quanto fosse poco popolare il candidato dell’opposizione Henrique Capriles. Ogni giorno, per cominciare bene la mattina, la televisione nazionale assicurava che Nicolás Maduro avrebbe trionfato nelle elezioni. Tutti predicevano una vittoria schiacciante.
Per questo nella notte di domenica scorsa, quando finalmente sono stati resi noti i risultati elettorali, la maggior parte dei cubani non è riuscita a capire cosa fosse accaduto. La poca differenza di voti tra Maduro e Capriles ha sorpreso chi aveva creduto al periodico Granma quando parlava dell’immenso sostegno popolare su cui poteva contare il “presidente sostituto”. Certamente, la modesta differenza tra i due candidati, meno di duecentocinquantamila voti, non aveva niente a che vedere con i pronostici fatti dalla propaganda ufficiale cubana. La realtà è che le urne hanno messo in evidenza un Venezuela praticamente diviso in due, una situazione polarizzata nella quale governo e opposizione possono contare sul sostegno di milioni di cittadini. Una nazione divisa a metà, che vive uno scontro ideologico forte e che sembra imboccare la strada di una crisi di grandi proporzioni.
Adesso per la stampa cubana sarà più difficile parlare del Venezuela come di un paese monocolore, votato a un solo partito. Abbiamo ascoltato il responso delle urne che è molto distante da quella unanimità – che ci hanno voluto far credere – e dal sostegno totale a Nicolás Maduro.

Yoani Sánchez
(dal Blog Cuba Libre, El País, 17 aprile 2013)
Traduzione di Gordiano Lupi

giovedì 18 aprile 2013


Sito di ponte con . http://cubareale.webnode.it/


Le minacce a Yoani.



 Intervista di Jorge Ramos Avalos


17 Aprile 2013

   Le minacce della dittatura dei fratelli Castro contro la blogger cubana Yoani Sánchez sono state dirette. Me l'ha raccontato lei stessa durante un'intervista a Miami: «Sono stata arrestata, malmenata ma non mi sono mai preoccupata. Ma l'ultima volta che mi hanno arrestata un ufficiale della sicurezza mi ha detto: Tuo figlio va in bicicletta? Che faccia attenzione. Queste parole mi hanno fatto molto male».
   Yoani sa di essere vulnerabile a causa del figlio Teo, 18 anni, in età per fare il servizio militare obbligatorio. «Sì, lui è il mio punto debole», riconosce. Sa bene che può subire gravi rappresaglie per le cose che dice. Ma continua a parlare.
   Perché? «Chiaro che temo le rappresaglie, ma che devo fare? Penso che il modo migliore per proteggermi sia proprio continuare a parlare». Nonostante queste minacce così dirette, appena finito il suo giro del mondo in 80 giorni, rientrerà a Cuba. «Andare in esilio? Non ne ho nessuna intenzione», mi ha detto. La sua vita è Cuba.
   Il suo tour è straordinario, tipico di una persona che non ha mai viaggiato e che, alla prima opportunità, vorrebbe mangiarsi il mondo. Il permesso di uscita le è stato negato per anni, ma finalmente Yoani ce l'ha fatta. Da perseguitata politica all'interno dell'Isola, fuori da Cuba – nonostante il regime dell'Avana – è diventata una specie di celebrità. Sono stato testimone di un fatto incredibile. Quando Yoani ha visitato Miami, l'attore-regista cubanoamericano, stella di Hollywood, Andy García voleva conoscerla. «È una donna molto coraggiosa», mi ha detto Andy. Lui è andato a prenderla prima di una presentazione e l'ha invitata a pranzo. Ma i ruoli si sono invertiti: la stella era Yoani. Andy, con molta semplicità, si limitava ad ascoltarla.
   Questo accade con Yoani. No puoi fare a meno di ascoltarla. Lei ti racconta com'è la Cuba di oggi, non quello che si sono inventati all'estero. Ovunque si presenta, non importa quale paese, riempie gli auditori. Quasi mezzo milione di persone la seguono su Twitter (@YoaniSanchez) e la dittatura cubana non ha armi adeguate per combattere una persona così coraggiosa, forte e trasparente.
   «Cuba è l'isola dei non connessi», mi ha detto durante una breve pausa. «Cuba mi sembra così assurda da lontano; vivo in un castello medioevale, perché non c'è libertà, perché il governo stesso si comporta come un signore feudale; è tutto molto triste e quando siamo all'estero si sente ancora di più».
   «Ogni giorno che passa sempre più persone si rendono conto che viviamo in una dittatura». Ma puoi dire che Cuba è una dittatura senza avere problemi?, le chiedo.
   «Dico la prima sillaba e già mi metto nei guai. Ma mi alzo ogni giorno pensando che devo comportarmi come una cittadina libera».
   Yoani si descrive come una “cronista della realtà”. Nient'altro. Ma è molto di più. Lei si è trasformata nel simbolo del cambiamento a Cuba. Altri hanno tentato ma non ci sono riusciti. Molti sono morti cercando di farcela. Yoani, invece, continua a colpire con una logica infallibile una dittatura in pieno secolo XXI che non ha elezioni libere e pluraliste, che limita ferocemente la libertà di espressione, che incarcera e assassina dissidenti, e che si muove in senso contrario alla maggior parte dei paesi del mondo.
   Yoani dice sempre: «I miei capelli sono liberi e io pure». Si tocca la nera chioma che le scende lungo i fianchi. E aggiunge una cosa che può sembrare strana per una persona che non ha smesso di parlare da quando è uscita da Cuba: «Sono una persona molto timida». Insiste che la sua missione è «spiegare Cuba a chi non c'è mai stato». La blogger ci introduce nella sua vita quotidiana: «Sono iperattiva. Da quando mi alzo faccio un sacco di cose. Amo la mia vita familiare». Il regime la controlla, spesso la fa arrestare. Il suo cellulare, un iPhone che le ha regalato la sorella («un telefono monco perché privo di connessione internet») è regolarmente bloccato e messo sotto controllo. Ormai è abituata al fatto che la dittatura castrista racconti la balla che è un'agente della CIA, al punto che risponde con un sorriso: «Questa operazione si chiama uccidere il messaggero. Non controbattere le sue opinioni, ma annullarlo moralmente. No, non lavoro per la CIA. Non potrei mai lavorare per una realtà straniera, inoltre non ho mai militato in un partito politico». Yoani si guadagna la vita con le cose che sa fare, come la maggior parte dei cubani. «Sono esperta di computer, lavoro con loro e li riparo. Inoltre scrivo su diversi periodici fuori dal mio paese». Il suo primo viaggio all'estero è stato finanziato da diverse organizzazioni non governative e da sua sorella che vive negli Stati Uniti.
   A Cuba sta cambiando qualcosa?, chiedo. «Stanno accadendo cose importanti, ma soprattutto mi rendo conto che i cubani sono stufi». Può esserci castrismo senza i fratelli Castro? «Il carisma di questi leader non si trasferisce. A Cuba il seggio presidenziale è stato ereditato per diritto di sangue (Da Fidel a Raúl)... È triste che una nazione per riprendere vita debba riporre le sue speranze nella morte di una persona, ma ci hanno portato a questo».
   Yoani ama citare una frase di Gandhi: «I tuoi nemici prima ti ignorano, dopo ridono di te, infine ti attaccano». Yoani sta vivendo la terza fase. Le minacce personali e nei confronti della famiglia, fanno parte della sua professione di giornalista. Ma sa di essere diventata il simbolo della speranza di libertà e di un cambiamento democratico a Cuba.
   Cuba può cambiare? «Io da sola posso fare poco, ma siamo in molti».

Jorge Ramos Avalos
Traduzione di Gordiano Lup

mercoledì 17 aprile 2013

Nuove impostazioni blog cubareale


Nuove impostazioni Blog Cubareale

Sito di ponte con . http://cubareale.webnode.it/



Nuove impostazioni Blog Cubareale


Innazitutto il blog rimane un ponte per il sito Cubareale, ma da oggi vuole essere anche un mezzo di interscambio, un normale blog impossibile da realizzare nel sito.


Attualmente ci sono discussioni in merito al cambiamento lento che Cuba stà operando,  alla sua natura socialista incontrovertibile ed alla capacità del paese di rimanere fedele alla sua linea anticapitalista.
Querelle sia dentro cuba che soprattutto fuori, dove noi amanti dell'isola ci arrabattiamo in discussioni argute avendo la possibilità e la completa libertà, nonchè i mezzi tecnologici per divulgare e intergaire su questi argomenti.
Mi piacerebbe che anche su questo blog, senza grandi ambizioni perchè rimane sostanzialmente un mezzo di pubblicità per il sito Cubareale, si iniziasse uno scambio di idee e considerazioni normalmente in atto in altri più datati e più consciuti blog su Cuba.
Cuba stà cambiando, lentamente seguendo i suoi tempi, ma le opportunità interne ed anche degli eventuali fruitori esterni stanchi del sistema capitalistico occidentale, stanno venendo alla luce.
Tra poco non è escluso che chi sarà riuscito a mette un piede stabile sull'isola ne tragga grandi benefici, non solo a livello di semplice qualità di vita ma anche a livello economico e di piccola impresa.
Spero di aprire uno spazio libero per tutti auelli che volessero esprimere le loro opinioni su qualsiasi argomento riguardante i vari apetti di un'isola icona della contraddizione e della, probabilemnte, novità.

Bolg di rimando al sito http://cubareale.webnode.it/




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Breve promozione del nostro team operativo 

Abbiamo la possibilità di accogliere i turisti in fai da te direttamente in aereoporto, portarli in una ottima casa particular nel miglior quartiere della città, il Vedado, o a scelta altri ed offrirgli assistenza e guida turistica per i primissimi giorni.

Possibilità di noleggio auto al miglior prezzo di mercato.

Organizzazione logistica per tutto il proseguo del viaggio sull'isola.

Avere in uso una linea telefonica cubana per restare in contatto con la nostra organizzazione per tutto il periodo della vacanza

Piccole proposte qui.

Carte d'Avana


" Un isola incredibile, un satellite tropicale, colorato e  lunatico, esotico e utopico, africano e magico, malinconico e rivoluzionario, creolo, polveroso, fiero, surreale e misero, improbabile come un pezzo di Unione Sovietica dei tempi della guerra fredda catapultato da una sbronza della Storia in mezzo ai Caraibi come un cubetto di ghiaccio siberiano in un bicchiere di mojto. In alte parole Cuba."

 

Davide Berrilli da "Carte d'Avana"


Le cere di Baracoa

                                                    

Per viaggiare davvero i viaggiatori non devono avere nulla da perdere. Ma neanche da cercare. Sono queste le idee che ho in testa mentre la guagua svolta sotto le nubi che avvolgono il picco della montagna. La corriera scende lungo i tornanti avvolta da scrosci d’acqua che fumano, per l’umidità, con l’effetto di un bagno turco. Baracoa è laggiù, schiacciata nella mezzaluna della baia, in fondo alla montagna. Un nome che mi fa pensare al tronco di una pianta misteriosa, invisibile e notturna, che galleggia in mezzo a un mare placido e sconosciuto.


Davide Berilli da "Le cere di Baracoa"

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L’AVANA
 
L'AVANA E' UN MINESTRONE
CHE BOLLE E RIBOLLE
A VOLTE PIANO A VOLTE FORTE
DIPENDE DALL'ORA E DAL GAS
 
E DENTRO CI VA':
UN PO' DI GENTE DEL CAMPO
MOLTO ORIENTE
LA VECCHIAIA ORGOGLIOSA E FELICE
LA RAGAZZINA SFRONTATA E AMBIZIOSA
LA POLIZIA PRESENTE
 
A VOLTE UNA BOLLA ESPLODE
UOMO STRILLA "HO FAME"
E TUTTO IL RESTO GLI RISPONDE
"ASPETTA CHE SIA COTTO"
PER TUTTI I GIORNI CHE DIO REGALA.......
 
Niki
La Habana 2004


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